(27/04/2024) - Cassazione Civile Sez. III n. 10787 del 22/04/2024 - La sofferenza soggettiva può assumere una configurazione di un vero e proprio danno biologico.

(27/04/2024) - Cassazione Civile Sez. III n. 10787 del 22/04/2024 - La sofferenza soggettiva può assumere una configurazione di un vero e proprio danno biologico.

La Corte di Cassazione chiarisce che, in caso di una sofferenza soggettiva, arrecata da un determinato evento della vita, si degeneri, tanto da assumere una configurazione medicalmente accertabile, alla pari di una vera e propria lesione della propria integrità psicologica, non si parlerà di danno morale, ma di un vero e proprio danno biologico.

 

FATTI DI CAUSA

1. - Bo.An. convenne in giudizio dinanzi al Tribunale di Bologna lo IOR-Istituti Ortopedico Rizzoli (di seguito anche soltanto: IOR), Bi.Gi. (medico chirurgo) e Mo.Mi. (medico anestesista) per sentirli condannare al risarcimento di tutti i danni patiti a seguito della lesione al nervo femorale e al tendine rotuleo destro, asseritamente ricondotto al negligente operato dei medici convenuti durante l'intervento di artroscopia al menisco destro svoltosi il 31 ottobre 2002.

1.1. - Il Tribunale adito, accolta la domanda, condannò, in solido, le parti convenute al pagamento, in favore dell'attrice, dell'importo di Euro 600.000,00, a titolo di danno non patrimoniale e delle somme di Euro 7.258,23 ed Euro 21.000,00 a titolo di danno patrimoniale, rispettivamente per le spese mediche sostenute e da sostenere in futuro.

2. - La Corte d'appello di Bologna, con sentenza resa pubblica il 26 maggio 2020, accoglieva parzialmente l'impugnazione principale dello IOR e rigettava quella incidentale proposta dalla Bo..

2.1. - In particolare, la Corte territoriale: A) sul gravame dello IOR: a.1) accertava la responsabilità del solo medico anestesista per la "lesione del nervo femorale parziale" in ragione della imperita manovra anestesiologica, conseguendone "paresi, ipotrofia e non funzionamento del muscolo quadricipite", con "una riduzione della mobilità dell'arto, con il 40% circa delle fibre motorie comunque ora attive"; a.2) escludeva la responsabilità del chirurgo per la "tendinosi" per la "introduzione del trocar, troppo mediale, invece che antero-laterale", avendo i CTU rilevato "la indimostrabilità più che probabilistica circa l'effettivo inserimento dello strumento causativo di danno, anche sulla base della evoluzione della vicenda clinica, dei dati strumentali e dei dati clinici"; a.3) rideterminava la somma dovuta a titolo di danno non patrimoniale, quantificata questa volta nell'importo complessivo di Euro 95.490,00, così composto: a.3.1) Euro 59.561,00, a titolo di danno biologico, sulla base della percentuale di invalidità pari al 18% (in adesione della seconda CTU istruita nel giudizio di primo grado) e non anche di quella maggiore ritenuta dal giudice di primo grado sulla scorta della percentuale del 60% di invalidità civile riconosciuta all'attrice in sede amministrativa; a.3.2) Euro 19.232,00, per ITT ed IP secondo le graduazioni e durate indicate dal CTU, essendosi la lesione stabilizzata "nell'arco di 18-20 mesi"; a.3.3) Euro 19.697,00, a titolo di "personalizzazione" quantificabile "al 25% del danno biologico come sopra determinato", da riconoscersi in ragione dello "stato psicopatologico" ("disturbo di adattamento con umore depresso di tipo cronico") "allegato e non contrastato", conseguente alle lesioni derivate dall'intervento chirurgico; a.4) confermava, quindi, la quantificazione del danno patrimoniale operata dal Tribunale; B) sull'appello incidentale della Bo.: b. 1) rigettava la censura sul mancato accoglimento della domanda di risarcimento del danno da perdita della capacità lavorativa specifica, in quanto "sfornita di prova", non integrata da una consulenza di parte e dalla "valutazione della Commissione per l'handicap"; b. 1.1) l'attrice, che lavorava part-time al momento dell'intervento chirurgico, aveva poi rinunciato al posto di dirigente scolastico assegnatole presso il plesso di Forlì per "scelte di carattere strettamente personali" e non già per ragioni riconducibili, "neppure presuntivamente, alla sussistenza di una lesione del tendine di un ginocchio" e tanto era da ritenersi anche in relazione alla dedotta perdita di chances presso la Regione e per "ulteriori avanzamenti di funzioni", essendo anche il passaggio dall'impiego part-time a quello full-time "era riconducibile a ragioni personali per assistenza al padre anziano malato"; b. 2) rigettava, inoltre, la pretesa risarcitoria, avanzata in sede di precisazione delle conclusioni nel grado di appello, per asserito aggravamento del danno biologico per discopatia insorta come "effetto degenerativo causato dalla menomata deambulazione" rilevando: b. 2.1) "in comparsa di costituzione di appello non vi era alcuna traccia di alcuna conclusione circa il danno biologico lamentato quale aggravamento ... non avendo riproposto la Bo., né formulato appello incidentale condizionato, su quanto attiene alla valutazione di un pregiudizio che nella conclusionale l'appellata afferma essere sorto nel 2008", avendo mancato anche di rappresentarlo in sede di c.t.u. nel 2010, né con la comparsa conclusionale di primo grado del 2011; b.2.2) se, poi, l'aggravamento degli esiti dell'intervento chirurgico si fosse manifestato "all'epoca degli accertamenti ultimi prodotti" (documentazione medica del 2015 e del 2017), "manca(va) una rappresentazione probatoria adeguata della sussistenza del nesso causale della stessa patologia quale conseguenza della modifica patologica della postura e della deambulazione a causa della tendinosi e ridotta flessione del movimento, "più probabile che non" rispetto ad altra causa autonoma, dipendente dalla condizione anche precedente allo stesso intervento, od organica", cosicché, "in mancanza di allegazione probatoria, i chiesti chiarimenti assumono una valenza meramente esplorativa"; C) condannava, infine, la parte appellata al rimborso, in favore dello IOR, di due terzi delle spese processuali del secondo grado, liquidate in Euro 13.635,00.

3. - Per la cassazione della sentenza ricorre Bo.An., affidando le sorti dell'impugnazione a dieci motivi di ricorso, illustrati da memoria.

Resistono con congiunto controricorso lo IOR-Istituti Ortopedico Rizzoli, Bi.Gi. e Mo.Mi..

 

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. - Con il primo mezzo è prospettata, ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., nullità della sentenza, ex artt. 132 c.p.c. e 111 Cost., per avere la Corte territoriale omesso di pronunciare, all'interno del dispositivo, condanna a carico del medico anestesista, nonostante la accertata responsabilità dello stesso in motivazione, disponendo detta condanna soltanto a carico dello IOR e, in tal modo, incorrendo così nel vizio di insanabile contrasto tra dispositivo e motivazione.

2. - Con il secondo mezzo è denunciato, ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, nonché dedotta, ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., nullità della sentenza per motivazione non integrante il "minimo costituzionale".

La Corte territoriale, anzitutto, avrebbe omesso di esaminare il fatto della "mancata adeguata vigilanza post-operatoria" sulla paziente che il primo giudice (pp. 7 e 8 della sentenza del Tribunale) aveva ritenuto essere inadempimento, causalmente determinativo della patologia tendinea quale evoluzione della lesione del nervo femorale, riferibile ad entrambi i sanitari e, dunque, anche al chirurgo Bi.; ratio decidendi oggetto di discussione in sede di gravame, sia con l'atto di appello (p. 9), sia con la comparsa di costituzione e risposta (p. 18) di essa Bo..

Inoltre, quanto all'esclusione di responsabilità diretta del medico chirurgo nella causazione della lesione al tendine rotuleo, il giudice di appello avrebbe adottato una non rispettosa del "minimo costituzionale", limitandosi ad una "striminzita conclusione, senza farsi carico di rispondere alle censure che erano state mosse sia dal CTP, che dal difensore".

3. - Con il terzo mezzo è denunciato, ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, per aver la Corte territoriale mancato di esaminare l'ulteriore danno patito da essa attrice a seguito dell'intervento e concernente la lesione del tendine rotuleo destro.

La ricorrente sostiene che il giudice di appello, dopo aver escluso la riconducibilità causale della tendinosi all'errore del chirurgo Bi., avrebbe dovuto ricondurre eziologicamente la medesima patologia nell'alveo delle conseguenze pregiudizievoli discendenti dalla lesione del nervo femorale, come ritenuto dal CTU, e, dunque, imputarla al soggetto che, di tale ultima lesione, si è reso responsabile, cioè il medico anestesista; la responsabilità di quest'ultimo, invece, è stata erroneamente riconosciuta per i soli danni derivanti dalla lesione nervosa.

4. - Con il quarto mezzo è dedotta, ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., nullità della sentenza per motivazione apparente, per non avere la Corte d'Appello dato adeguatamente conto in motivazione delle ragioni che l'hanno portata a discostarsi dal decisum della sentenza redatta dal giudice di primo grado in punto di quantificazione del danno non patrimoniale.

In particolare, la Corte: a) avrebbe acriticamente condiviso la percentuale di danno biologico pari al 18%, individuata dal CTU di primo grado, ma motivatamente superata dal Tribunale, senza dare conto delle ragioni medico-legali che l'hanno portata a disattendere la quantificazione di invalidità pari al 60% ricostruita dal primo giudice; b) avrebbe acriticamente condiviso le conclusioni del CTU di primo grado, in punto di quantificazione del danno biologico temporaneo, senza prendere posizione sulle criticità sollevate dal Tribunale sulla ricostruzione peritale (erronea limitazione della inabilità temporanea a 18-20 mesi e non fino alla conclusione della fase di riabilitazione post-operatoria terminata nel febbraio del 2005; contraddittorietà nella riduzione della percentuale di invalidità temporanea a fronte di un aggravamento della stessa malattia, tale da necessitare un successivo intervento chirurgico); c) avrebbe tautologicamente concluso nel senso della mancanza di allegazione, da parte dell'attrice, di fatti idonei a sostenere la domanda di risarcimento del danno morale, nonostante essi fossero stati indicati sin dall'atto di citazione e, poi, ulteriormente specificati, all'interno della memoria ex art. 183, quinto comma, c.p.c., nonché avrebbe la Corte erroneamente (e con motivazione apparente) ricompreso tali fatti nella quantificazione del danno non patrimoniale perimetrata dalle Tabelle di Milano.

In relazione al profilo della quantificazione del danno biologico permanente e temporaneo, la sentenza impugnata è altresì censurata, ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., per avere la Corte territoriale omesso di esaminare: a) che l'esame della parte attrice era stato abbastanza limitato e incompleto; b) che la percentuale del 18% era stata determinata dal CTU calcolando il 60% (pari alla lesione parziale del nervo) del punteggio tabellare del 30% riconosciuto per la lesione totale, senza l'indagine circa le ripercussioni funzionali; c) che il CTU non aveva riportato il tipo di deambulazione che l'attrice era in grado di fare; d) che il CTU era caduto in contraddizione nel prevedere una percentuale decrescente di ITP fino all'intervento del 13 luglio 2004, nonostante l'affermazione che la malattia fosse ingravescente, tanto da richiedere un nuovo intervento riparatore; e) che il CTU era caduto in contraddizione nella parte in cui, da un lato, non aveva escluso l'utilità della riabilitazione ma, dall'altro, non l'aveva considerata nella sua valutazione; f) ai fini della determinazione della ITT e ITP, che la ricorrente si era dovuta sottoporre ad un nuovo intervento in data 13 luglio 2004 e che la riabilitazione post operatoria era terminata a febbraio del 2005.

5. - Con il quinto mezzo è prospettata, in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1223,1226,2056 e 2059, c.c. e, in relazione all'art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., nullità della sentenza ex art. 132, n. 4, c.p.c., art. 111 Cost., per avere la Corte territoriale erroneamente proceduto alla liquidazione del(l'accertato) danno psichico, subito come conseguenza del difficile decorso postoperatorio, a partire dal danno biologico, e cioè secondo una "personalizzazione" quantificata al 25% del danno biologico; essendo il danno psichico un'autonoma categoria di danno biologico, potendo lo stesso discendere tanto da danni fisici quanto da danni psicopatologici, avrebbe dovuto essere di conseguenza liquidato in via autonoma, valutando eventualmente l'opportunità di istruire apposita CTU.

6. - Con il sesto mezzo è denunciata, ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., nullità della sentenza, in relazione agli artt. 132, n. 4), c.p.c., e 111 Cost., per essere la Corte territoriale incorsa nel vizio di motivazione apparente nella parte in cui, confermando acriticamente la liquidazione del danno patrimoniale operata dal giudice di primo grado, a sua volta riproduttiva della quantificazione effettuata dalla CTU, non ha dato adeguatamente conto delle censure sollevate in appello in merito alla necessità di liquidare anche le spese che la Bo. ha sostenuto fino al 2008, per far fronte alle spese mediche ortopediche resesi necessarie a seguito della lesione del tendine rotuleo destro.

Il giudice di appello, in particolare, avrebbe doppiamente errato sia nella parte in cui ha acriticamente condiviso le conclusioni del Tribunale, sia nella parte in cui non ha messo in discussione il contenuto medesimo della CTU di primo grado che, come emerge ex actis, non nasconde di mostrare perplessità in ordine alla perimetrazione dell'arco temporale da considerare ai fini della individuazione delle spese sostenute.

7. - Con il settimo mezzo è denunciata, ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., nullità della sentenza, in relazione agli artt. 132, n. 4), c.p.c., e 111 Cost., per essere la Corte territoriale incorsa nel vizio di motivazione apparente nella parte in cui ha proceduto alla liquidazione delle spese mediche future senza dare adeguatamente conto del motivo per cui alla Bo. sarebbe stato riconosciuto, per le spese mediche sostenende, un danno emergente futuro quantificato in Euro 700 annui per 30 anni (fino ai 68 anni) e non anche fino ai 40 anni di vita, come prospettato dalla stessa parte appellante; l'assenza di una ragionevole spiegazione sul punto, nonché la creazione arbitraria di un limite al risarcimento del danno è tale da integrare gli estremi di una motivazione meramente apparente.

8. - Con l'ottavo mezzo è prospettata, ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., nullità della sentenza in relazione agli artt. 132, n. 4, c.p.c., e 111, Cost., nonché falsa applicazione degli artt. 2729,1223,1226,2056, c.c., per avere la Corte territoriale erroneamente ritenuto insussistente il danno derivante da perdita di capacità lavorativa specifica e da perdita di chance nonostante gli elementi indicati dall'appellante - contraddittorietà della CTU (posta a fondamento della decisione del secondo giudice) nella parte in cui dapprima conferma come la inabilità parziale dell'atto sia idonea a ledere la capacità lavorativa specifica nei primi 18 mesi, per poi escludere il danno lavorativo nel momento in cui la paresi era divenuta permanente; accertamento della invalidità civile pari al 60% effettuata dalla Commissione Invalidi; dimissioni dall'incarico amministrativo ricoperto presso la Regione, con 'ripiego' su una docenza part-time presso un istituto tecnico secondario (in disparte, la rinunzia medio tempore intervenuta ad un incarico di Dirigente scolastico) - potessero essere apprezzati come indizi gravi, precisi e concordanti dai quali poter trarre la prova dei danni prospettati.

9. - Con il nono mezzo è prospettata, ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., nullità della sentenza in relazione agli artt. 132, n. 4, c.p.c., e 111 Cost., per avere la Corte territoriale erroneamente ritenuto non raggiunta la prova del nesso di causalità tra la lesione al nervo femorale e l'aggravamento della patologia, come risultante dalla documentazione medica che la Bo. produceva in appello (anni 2015-2017-2019); con motivazione contraddittoria, la Corte territoriale avrebbe disatteso la richiesta di CTU avanzata dalla parte appellante, qualificandola meramente esplorativa, sul presupposto che la Bo. non avesse fornito prova della riconducibilità causale del fatto aggravatore all'evento lesivo.

In particolare, la motivazione adottata dal giudice di appello sarebbe apparente sia nella parte in cui, con riferimento ad un (maggior) danno sorto successivamente al 2015, conclude nel senso della mancata allegazione del fatto nelle operazioni peritali del 2010, nella comparsa conclusionale del 2011 e nella costituzione in appello del 2012; sia nella parte in cui, qualificando come meramente esplorativa la CTU richiesta dalla parte, decide nel senso della mancanza di prova del nesso di causalità tra lesione e aggravamento della patologia, al cui accertamento la istruzione della CTU era preordinata.

Con il medesimo mezzo la sentenza d'appello è altresì impugnata, ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., per avere la Corte territoriale omesso di esaminare il "fatto" relativo all'aggravamento del danno; omissione che - secondo la prospettazione del ricorrente - si sarebbe consumata al momento del diniego di disporre CTU, prodromica all'accertamento di quel "fatto".

10. - Con il decimo mezzo è denunciata, ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 4 (rectius: 3), c.p.c., violazione e/o falsa applicazione degli artt. 91 e 92, c.p.c., per avere la Corte territoriale erroneamente condannato essa appellata a rifondere le spese del giudizio di secondo grado in misura pari a 2/3 in quanto parzialmente soccombente, nonostante risultasse vincitrice in base all'esito complessivo del giudizio.

Con il medesimo mezzo è denunciata, in subordine, ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., nullità della sentenza ex art. 132, n. 4, c.p.c., per essere la Corte territoriale incorsa in un insanabile contrasto tra motivazione e dispositivo avendo, dapprima, accertato la sussistenza degli estremi per procedere alla compensazione delle spese del secondo grado di giudizio e, poi, condannato essa appellata al pagamento delle relative spese in misura pari a 2/3.

11. - Il primo motivo è inammissibile.

La giurisprudenza di questa Corte è consolidata nel senso di ritenere che il contrasto tra motivazione e dispositivo sia tale da determinare il vizio di nullità dell'intera sentenza nel solo caso in cui esso incida sulla idoneità del provvedimento, considerato complessivamente nella sua totalità delle sue componenti testuali, a rendere conoscibile il contenuto della statuizione giudiziale (Cass. n. 18877/2003; Cass. n. 26074/2018; Cass. n. 19325/2020).

Tale contrasto, presente nella sentenza della Corte d'appello, non è tale da rendere oscuro l'esito del giudizio.

Esito che traspare chiaramente nel corpus della motivazione (p. 4, lett. A; cfr. anche sintesi al par. 2.1. dei "Fatti di causa"), là dove essa, per un verso, si sofferma a dare conto della condotta del medico anestesista, convenuto nel giudizio di primo grado, siccome integrante l'unico inadempimento della prestazione sanitaria causativo del danno iatrogeno; mentre, per altro verso, non evidenzia, né, quindi, accerta, alcun inadempimento imputabile direttamente ed esclusivamente a profili strutturali e organizzativi della struttura sanitaria (quale riflesso, del resto, dell'assenza di doglianze avanzate al riguardo dalle parti del giudizio).

Il titolo della responsabilità, dunque, non può che essere ravvisato, nel caso in esame, nel solo art. 1228 c.c., quale norma che configura pur sempre una fattispecie di responsabilità contrattuale diretta per fatto proprio e non per fatto altrui, fondata sui "fatti dolosi o colposi" degli ausiliari, la quale trova giustificazione nell'assunzione del rischio per i danni che al creditore possono derivare dall'utilizzazione di terzi nell'adempimento della propria obbligazione contrattuale (Cass. n. 28987/2019; Cass. n. 29001/2021; Cass. n. 8116/2022; Cass. n. 26811/2022). Il positivo accertamento della responsabilità della struttura sanitaria ex art. 1228 c.c. postula, pertanto, l'accertamento del fatto colposo del personale medico ausiliario, ossia "un illecito colpevole dell'autore immediato del fatto" (così Cass. n. 12362/2006), in assenza del quale non è ravvisabile alcuna responsabilità contrattuale dell'ente debitore nei confronti del paziente (Cass. n. 6386/2001; Cass. n. 26811/2022).

E', inoltre, principio affatto consolidato che la responsabilità della struttura sanitaria per fatto proprio, ex art. 1228 c.c., è autonoma da quella del medico di cui essa si sia avvalsa in qualità di ausiliario, ma entrambi rispondono in via solidale nei confronti del danneggiato, in ragione dell'insorgere dell'obbligazione risarcitoria per l'unicità dell'evento dannoso imputabile a più soggetti; imputabilità che si determina non solo in forza del concorso efficiente delle plurime condotte (attive e/o omissive) nella produzione del danno, ma anche allorquando (come nella specie) uno dei condebitore risponda per il fatto dell'autore immediato del danno (Cass. n. 4926/1980; Cass. n. 5024/2005; Cass. n. 26811/2022).

Ne consegue che, dalla riconducibilità del danno alla esclusiva prestazione professionale della Mo., è di tutta evidenza come la condanna nel dispositivo della sentenza impugnata a carico del solo IOR non sia tale da ingenerare una "confusione" in ordine ad una potenziale esclusione della responsabilità del medico anestesista e di una esclusiva responsabilità a carico della struttura sanitaria, essendo quest'ultima, proprio in base a quanto emerge dalla medesima sentenza di appello, da ritenersi, per le ragioni anzidette, solidamente responsabile con il medico anestesista convenuto.

In siffatti termini, essendo chiaramente percepibile ab externo l'esito del giudizio, il vizio prospettato dalla odierna parte ricorrente deve essere riqualificato come mero errore materiale e, in quanto tale, non denunciabile con ricorso per cassazione, ma dinanzi al giudice del merito ai sensi dell'art. 287 c.p.c. (tra le altre: Cass. n. 21492/2005; Cass. n. 28712/2013; Cass. n. 5727/2015).

12. - Il secondo motivo e terzo motivo - da scrutinarsi congiuntamente in quanto in parte connessi - non possono trovare accoglimento.

12.1. - Occorre, in primo luogo, rilevare che la responsabilità del Bi., medico chirurgo, era stata affermata dal primo giudice (pp. 7/8 della sentenza del Tribunale) sotto due distinti profili: a) in ragione della (attiva) prestazione medica effettuata durante l'intervento operatorio; b) in ragione della (omissiva) prestazione concernente l'attività di vigilanza post-operatoria (cui era tenuto insieme alla Mo., anestesista), evidenziandosi che "l'immediata diagnosi della lesione al nervo femorale (...) avrebbe consentito di evitare proprio la sua complicanza al tendine, cioè l'evoluzione patologica che prospetta il CTU quale a suo avviso più probabile".

12.2. - Sotto il primo profilo (sub a)), la Corte territoriale ha escluso che il chirurgo (Bi.) fosse responsabile della "tendinosi" sofferta dall'attrice in ragione della "introduzione del trocar, troppo mediale, invece che antero-laterale", avendo condiviso il giudizio dei consulenti tecnici sulla "indimostrabilità più che probabilistica circa l'effettivo inserimento dello strumento causativo di danno, anche sulla base della evoluzione della vicenda clinica, dei dati strumentali e dei dati clinici" (p. 4 sentenza di appello e sintesi al par. 2.1. dei "Fatti di causa").

A tal riguardo, è inammissibile, prima ancora che infondata, la doglianza che denuncia la violazione del "minimo costituzionale" della motivazione a supporto della decisione assunta dalla Corte territoriale, ossia una motivazione affetta da quelle anomalie ("mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto materiale e grafico", "motivazione apparente", "contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili", "motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile", esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di "sufficienza" della motivazione) che - risultanti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali - la rendono non conforme all'obbligo previsto dall'art. 111, sesto comma, Cost. e, dunque, illegittimamente adottata, poiché in violazione dell'art. 132, secondo comma, n. 4, c.p.c..

Le censure di parte ricorrente fanno ricorso, invece, proprio ad elementi esterni (consulenza tecnica di parte richiamata nella comparsa di costituzione e risposta in appello: cfr. 19/22 del ricorso) alla stessa motivazione resa dal giudice di appello, così da mostrarsi costruite, piuttosto, come doglianze che veicolano (inammissibilmente) il vizio motivazionale di cui alla previgente formulazione del n. 5 dell'art. 360 c.p.c..

Peraltro, pur restando assorbenti le considerazioni che precedono, occorre rilevare che le argomentazioni addotte dal giudice di appello a giustificazione della decisione - giacché danno evidenza, sia pure sinteticamente, delle ragioni per cui, secondo il criterio del "più probabile che non", non sussiste il nesso di causalità tra condotta del sanitario e il danno subito dalla paziente - sono, di per sé, affatto intelligibili e prive di insanabili contraddizioni intrinseche e, dunque, si palesano rispettose del c.d. minimo costituzionale della motivazione, che segna il perimetro entro il quale può svolgersi il sindacato di legittimità al riguardo (Cass., S.U., n. 8053/2014).

12.3. - È, invece, infondata la censura prospettata - sia con il secondo, che con il terzo motivo -, ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c. in relazione al profilo della omessa vigilanza postoperatoria e all'ulteriore danno concernente la patologia interessante il tendine rotuleo destro.

12.3.1. - Giova rammentare, anzitutto, che il vigente art. 360, comma primo, n. 5, c.p.c., prevede l'omesso esame come riferito ad "un fatto decisivo per il giudizio", ossia ad un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico-naturalistico (non assimilabile, quindi, in alcun modo a "questioni" o "argomentazioni" che, pertanto, risultano irrilevanti), avente portata idonea a determinare direttamente l'esito del giudizio, nel senso che il "fatto" trascurato avrebbe condotto con certezza ad un diverso esito della controversia (tra le molte: Cass., S.U., n. 8053/2014; Cass. n. 2268/2022; Cass. n. 107/2024).

Occorre, altresì, precisare, sotto diverso (ma, nel caso, connesso) profilo, che, alla luce dell'ormai consolidato orientamento di questa Corte (tra le molte: Cass. n. 18392/2017; Cass. n. 3704/2018; Cass. n. 28991/2019; Cass. n. 10050/2022), nei giudizi di risarcimento del danno da responsabilità medica è onere del paziente dimostrare l'esistenza del nesso causale, provando che la condotta del sanitario è stata, secondo il criterio del "più probabile che non", causa del danno, sicché, ove la stessa sia rimasta assolutamente incerta, la domanda deve essere rigettata.

Orientamento, questo, che ha superato il precedente indirizzo secondo cui l'attore danneggiato era onerato di provare soltanto l'esistenza del contratto (o il contatto sociale) e l'insorgenza (o l'aggravamento) della patologia e di allegare l'inadempimento qualificato del debitore, astrattamente idoneo a provocare il danno lamentato, restando, invece, a carico del medico e/o della struttura sanitaria la dimostrazione che tale inadempimento non si fosse verificato, ovvero che esso non fosse stato causa del danno, con la conseguenza che qualora, all'esito del giudizio, permanesse incertezza sull'esistenza del nesso causale fra condotta del medico e danno, questa ricadeva sul debitore (tra le altre: Cass., S.U., n. 577/2008; Cass. n. 27855/2013; Cass. n. 20547/2014).

12.3.2. - Ciò premesso, la stessa ricorrente trascrive in ricorso (pp.24/28) il par. 4 della CTU medico-legale che costituisce il dato rilevante (anche ai fini del rispetto delle prescrizioni di cui all'art. 366, primo comma, n. 4 e n. 6, c.p.c.) per la decisione sulle proposte censure ex n. 5 dell'art. 360 c.p.c..

Dalla CTU si evince, però, che la circostanza per cui "la complicanza" concernente la ingravescente "tendinite del rotuleo" a carico della Bo. - siccome "causata anche solamente dall'impossibilità della paziente a muovere il ginocchio per il deficit nervoso, e per una concomitante algodistrofia ..., assolutamente prevedibile e spiegabile con una lesione nervosa ed un prolungato deficit funzionale" - costituiva solo una "ipotesi" ed ipotesi solo "possibile" (e così ancora la CTU: "... la complicanza può avere una spiegazione anche solo ipotizzando come conseguenza del deficit funzionale certamente presente in quella fase"). Ipotesi che è stata contrapposta, in sede di CTU, a quella della lesione indotta direttamente dall'operatore chirurgico (con il "passaggio intratendineo dell'artroscopio") e che lo stesso consulente tecnico ha ritenuto "seppure teoricamente possibile", comunque "non . dimostrabile con i dati disponibili, e non . sostenibile con probabilità sulla base della evoluzione della vicenda clinica, dei dati strumentali e dei dati clinici".

La sentenza di primo grado ha affermato (pp. 6/8), a sua volta, che il fatto per cui il "CTU ritenga questo (ossia, la flogosi al tendine rotuleo causata "da un errato accesso con l'atroscopio") non certo anzi ritenga più probabile che la causa della tendinite sia da ravvisarsi in una conseguenza della situazione dell'arto dopo la lesione del nervo femorale, giuridicamente non sposta i termini della questione, risultando incerta, in ultima analisi, la causa della tendinite e risultando tale incertezza impediente della qualificazione ex art. 1218 c.c.della causa della tendinite quale causa non imputabile al chirurgo".

Ed ancora lo stesso giudice di primo grado (pp. 7 e 8 della relativa sentenza) ha evidenziato - allorquando ha ritenuto la responsabilità di entrambi i medici per la "carenza di vigilanza postoperatoria" - che la "immediata diagnosi della lesione al nervo femorale, se questa fosse stata davvero la causa certa del problema al tendine, avrebbe consentito di evitare proprio la sua complicanza al tendine, cioè l'evoluzione patologica che prospetta il CTU quale a suo avviso più probabile" (p. 7 sentenza del Tribunale).

12.3.3. - Pertanto - come, del resto, ritenuto dallo stesso Tribunale, che, infine, ha fatto applicazione dell'orientamento giurisprudenziale che, all'epoca della adottata decisione costituiva, "diritto vivente" (ossia, di quello che faceva ridondare la c.d. "causa incerta" in danno del debitore-danneggiante) - che la causa della tendinite del rotuleo a carico dell'attrice è da ritenersi, in base alla stessa CTU medico-legale, una causa "incerta", avendo il consulente tecnico ipotizzata come soltanto "possibile" (e non già "più probabile che non") quella derivante "dall'impossibilità di muovere il ginocchio per il deficit nervoso" rispetto ad altra ipotesi meno probabile ancora, ossia quella della lesione intraoperatoria del tendine.

Con la conseguenza che l'incertezza sul nesso eziologico tra la condotta del sanitario il danno iatrogeno, secondo il criterio del "più probabile che non", non consentirebbe, comunque, di accogliere la domanda risarcitoria del danneggiato.

12.3.4. - Sicché, seppure il fatto della sussistenza di una patologia tendinea all'esito dell'intervento chirurgico sia stato omesso dalla Corte territoriale ciò non integra "fatto decisivo" ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., in quanto, per le ragioni anzidette, l'esame del "fatto" trascurato non condurrebbe ad un diverso esito della controversia.

E tanto vale non solo in riferimento alla censura svolta con il terzo motivo, ma anche in relazione alla doglianza proposta con il secondo motivo, giacché il "fatto" della vigilanza post-operatoria sulla Bo. è correlato proprio alla circostanza che il primo giudice aveva affermato la responsabilità anche del chirurgo Bi. sul presupposto che "l'immediata diagnosi della lesione al nervo femorale (...) avrebbe consentito di evitare proprio la sua complicanza al tendine, cioè l'evoluzione patologica che prospetta il CTU quale a suo avviso più probabile" (p. 8 sentenza del Tribunale).

Complicanza, questa, che, come detto, non può essere ascritta, secondo il criterio del "più probabile che non", come derivante dalla lesione del nervo femorale.

13. - Deve ora procedersi all'esame del quinto motivo: esso è fondato e ciò comporta l'assorbimento delle censure svolte con il quarto motivo.

13.1. - Questa Corte ha precisato che là dove la sofferenza soggettiva arrecata da un determinato evento della vita, non contenendosi sul piano di un'abituale, normale o comprensibile, alterazione dell'equilibrio affettivo-emotivo del danneggiato, degeneri al punto tale da assumere una configurazione medicalmente accertabile alla stregua di una vera e propria lesione della propria integrità psicologica, non più di un danno morale avrà a discorrersi, bensì di un vero e proprio danno biologico, medicalmente accertabile come conseguenza di una lesione psicologica idonea ad esplicare un'incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato (Cass. n. 6443/2023; Cass. n. 18056/2019).

13.2. - Nella specie, lo stesso giudice di appello ha riconosciuto (p. 7 della sentenza impugnata), condividendo quanto già accertato dal primo giudice, che le conseguenze derivate all'attrice dal decorso post-operatorio si sono tradotte in un "disturbo di adattamento con umore depresso di tipo cronico", ossia in una situazione che ha trasceso il piano della sofferenza soggettiva, tale da mutare in una condizione psicologica di tipo patologico.

La Corte territoriale ha dunque errato nel ricondurre lo "stato psicopatologico depressivo" tra i presupposti della "personalizzazione del danno" non patrimoniale e "in una misura proporzionata al profilo psico esistenziale, di una persona che all'epoca svolgeva un'attività lavorativa di impiegata con una ordinaria sfera di vita personale, indubbiamente penalizzata", giacché avrebbe dovuto, ai fini della liquidazione complessiva del danno biologico, altresì prendere in considerazione il danno psichico allegato e provato dalla Bo..

13.3. - A tal fine, essendosi in presenza di lesioni monocrone coesistenti - e cioè, di lesioni plurime riguardanti organi e funzioni diverse derivate da un medesimo evento dannoso - il giudice di secondo grado dovrà, quindi, tenere conto che il danno biologico è unitario, per cui la valutazione medico-legale delle singole menomazioni, che determinano un peggioramento globale della salute, deve essere complessiva (Cass. n. 8286/1996; Cass. n. 18328/2019).

In tal senso, non potrà, quindi, addivenirsi ad una mera sommatoria algebrica delle percentuali di invalidità previste per il singolo organo o apparato, ma ad un apprezzamento funzionale e, per l'appunto, complessivo delle singole invalidità, attraverso un corretto criterio medico-legale e in base ad un "barème" redatto con criteri di scientificità (Cass. n. 11724/2021; Cass. n. 19229/2022).

In siffatto contesto, poi, il giudice di merito dovrà considerare che il risarcimento spettante al danneggiato per il danno biologico -ordinariamente liquidato con il metodo c.d. tabellare in relazione, come detto, a un "barème" medico legale che esprime in misura percentuale la sintesi di tutte le conseguenze ordinarie che una determinata menomazione presumibilmente riverbera sullo svolgimento delle attività comuni ad ogni persona - può essere incrementato in via di "personalizzazione" solo in presenza di conseguenze anomale o del tutto peculiari (tempestivamente allegate e provate dal danneggiato), mentre le conseguenze ordinariamente derivanti da pregiudizi dello stesso grado sofferti da persone della stessa età non giustificano alcuna "personalizzazione" in aumento (tra le altre: Cass. n. 27482/2018; Cass. n. 28988/2019; Cass. n. 5865/2021).

14. - L'esito dello scrutinio del quinto motivo, come detto, assorbe l'esame del quarto motivo, giacché implica una riliquidazione complessiva del danno biologico, in tutte le sue componenti (temporanea e permanente), in ragione della coesistenza, a carico dell'attrice, della lesione del nervo femorale e della patologia depressiva.

15. - Il sesto motivo - con cui è censurato il mancato riconoscimento del danno emergente per le spese mediche sostenute (e sostenende) in relazione alla lesione del tendine rotuleo - è inammissibile alla luce degli esiti dello scrutinio del secondo e terzo motivo, in forza del quale si è escluso, con effetti di giudicato, che di detta lesione possano ritenersi responsabili gli originari convenuti.

16. - Il settimo motivo è infondato.

La Corte territoriale ha rigettato la richiesta di ampliamento delle spese mediche future sino ai 40 anni successivi alla causazione del danno (2005), confermando la decisione del Tribunale che già ne estendeva (rispetto a quanto indicato nella CTU) la debenza per i successivi 30 anni, in ragione del fatto che il limite dei 68 anni era da considerarsi "adeguato per il mantenimento di un morfismo funzionale ad una vita normalmente attiva" (p. 7 della sentenza impugnata).

La motivazione adottata dal giudice di appello, ancorché sintetica, non è tale da integrare il vizio della motivazione apparente (sulla cui portata cfr. par. 12.2, che precede e al quale si rinvia), giacché la stessa rende pienamente intelligibili le ragioni del decisum e il percorso logico-giuridico che le sorregge.

17. - L'ottavo motivo è in parte inammissibile e in parte infondato.

17.1. - È, anzitutto, inammissibile - prima ancora che infondato -, quanto alla censura che denuncia un vizio di motivazione al di sotto del "minimo costituzionale".

A tal riguardo, come già evidenziato al par. 12.2 che precede (e cui si rinvia), detto vizio non può essere veicolato in base al confronto con le risultanze processuali (per tutte: Cass., S.U., n. 8053/2014), ciò che, invece, fa la ricorrente mediante il richiamo di atti e documenti del processo (c.t.u.; atti difensivi; documentazione relativa alla posizione lavorativa: cfr. pp. 62/69 del ricorso).

In ogni caso, le doglianze sono infondate.

A tal riguardo, infatti, la sentenza dà conto (pp. 7/9, nonché sintesi al par. 2.1. dei "Fatti di causa") del rigetto del motivo di gravame sul mancato accoglimento della domanda di risarcimento del danno da perdita della capacità lavorativa specifica, in quanto "sfornita di prova", non integrata da una consulenza di parte e dalla "valutazione della Commissione per l'handicap".

Il giudice di appello ha evidenziato al riguardo che l'attrice, la quale lavorava part-time al momento dell'intervento chirurgico, aveva poi rinunciato al posto di dirigente scolastico assegnatole presso il plesso di Forlì per "scelte di carattere strettamente personali" e non già per ragioni riconducibili, "neppure presuntivamente, alla sussistenza di una lesione del tendine di un ginocchio" e tanto era da ritenersi anche in relazione alla dedotta perdita di chances presso la Regione e per "ulteriori avanzamenti di funzioni", essendo anche il passaggio dall'impiego part-time a quello full-time "era riconducibile a ragioni personali per assistenza al padre anziano malato".

Trattasi di motivazione che è ben lungi dal porsi al di sotto del "minimo costituzionale" e che si presta, invece, a rendere affatto comprensibile, senza intrinseche contraddizioni, l'iter logico-giuridico che ha seguito la Corte territoriale.

17.2. - Sono infondate anche le doglianze che deducono errori, da parte della Corte territoriale, nell'applicazione dei principi che disciplinano la prova per presunzioni al fine di riconoscere come sussistente il danno lamentato.

Alla luce della giurisprudenza di questa Corte, la denuncia, in cassazione, di violazione o falsa applicazione del citato art. 2729 c.c., ai sensi dell'art. 360, comma primo, n. 3, c.p.c., può prospettarsi allorquando il giudice di merito affermi che il ragionamento presuntivo venga a fondarsi su presunzioni non gravi, precise e concordanti ovvero basi la presunzione su un fatto storico privo di gravità o precisione o concordanza ai fini dell'inferenza dal fatto noto della conseguenza ignota e non anche quando la critica si concreti nella diversa ricostruzione delle circostanze fattuali o nella mera prospettazione di una inferenza probabilistica diversa da quella ritenuta e applicata dal giudice di merito o senza spiegare i motivi della violazione dei paradigmi della norma. Sicché, il requisito della "precisione" è riferito al fatto noto, che deve essere determinato nella realtà storica, quello della "gravità" al grado di probabilità della sussistenza del fatto ignoto desumibile da quello noto, mentre quello della "concordanza", richiamato solo in caso di pluralità di elementi presuntivi, richiede che il fatto ignoto sia - di regola -desunto da una pluralità di indizi gravi, precisi e univocamente convergenti nella dimostrazione della sua sussistenza, e ad articolare il procedimento logico nei due momenti della previa analisi di tutti gli elementi indiziari, onde scartare quelli irrilevanti, e nella successiva valutazione complessiva di quelli così isolati, onde verificare se siano concordanti e se la loro combinazione consenta una valida prova presuntiva (c.d. convergenza del molteplice), non raggiungibile, invece, attraverso un'analisi atomistica degli stessi, (tra le molte: Cass. n. 11906/2003; Cass. n. 18611/2021; Cass. n. 9054/2022).

Dalla ricostruzione degli elementi acquisiti agli atti, evidenziati dalla Corte territoriale (p. 8 della sentenza impugnata), appare di tutta evidenza come essa non sarebbe potuta pervenire ad una conclusione differente da quella prospettata (mancanza di prova del danno da perdita di capacità lavorativa specifica e da perdita di chances lavorative) attraverso il ricorso a presunzioni; e ciò in ragione dell'assenza del requisito della concordanza di questi elementi.

In particolare, in disparte la corretta mancata valutazione dei dati concernenti la CTP e la valutazione della Commissione per l'handicap (sprovvisti di rilevanza ai fini del ragionamento presuntivo del fatto ignoto, perdita di capacità lavorativa specifica e perdita di chances, a partire dal fatto noto, concernente la copertura di un ruolo professionale deteriore rispetto alle proprie potenzialità lavorative), la Corte territoriale ha ritenuto (come già ricordato al par. 17.1, che precede) che non si potesse riconoscere, neanche in via presuntiva, che le scelte lavorative intraprese dalla Bo. a seguito dell'intervento fossero la conseguenza dell'infausto decorso post-operatorio, piuttosto che riconducibile a scelte di carattere personale. E ciò il giudice di appello ha reputato in quanto emergevano dai seguenti elementi, valutati complessivamente, profili di discordanza tali da non consentire la formazione di una prova presuntiva: a) la Bo. lavorava part-time al momento dell'intervento; b) il passaggio dal full time al part-time era riconducibile a ragioni personali di assistenza al padre malato; c) la lettera di dimissioni dal contratto part-time presso la Regione faceva riferimento a dimissioni derivanti da una giusta causa, cioè il demansionamento; d) tale demansionamento - come si evinceva dalla lettera di dimissioni - era causalmente riconducibile ad una riorganizzazione strutturale delle funzioni dell'ufficio che avrebbe privato la Bo. "delle funzioni di coordinamento svolte, con grave danno alla propria professionalità".

La mancata convergenza di tali elementi verso la ricostruzione del fatto noto ha condotto la Corte territoriale a ritenere sprovvista di prova la domanda di risarcimento del danno da perdita della capacità lavorativa specifica e di quello da perdita di chances, non potendosi presuntivamente affermare né che il demansionamento subito fosse riconducibile ad un demansionamento "di fatto" derivante dall'emarginazione dall'ambiente lavorativo conseguente alle sue difficoltà motorie, né che la rinunzia alla posizione dirigenziale presso la Regione fosse riconducibile al disagio fisico piuttosto che a scelte personali.

A fronte di un siffatto impianto argomentativo, rispettoso, dunque, delle anzidette coordinate giuridiche, si rivelano poi inammissibili i profili di doglianza (che, invero, sostanziano in buona parte l'intero motivo) che prospettano una inferenza probabilistica diversa da quella ritenuta e applicata dal giudice di merito.

18. - Il nono motivo è inammissibile.

Con esso non è impugnata, in modo specifico e congruente, nel rispetto di quanto prescritto dall'art. 366, primo comma, n. 4 e n. 6, c.p.c., la ratio decidendi della sentenza impugnata, autonoma e da sola in grado di reggere la decisione, secondo cui "in comparsa di costituzione di appello non vi era alcuna traccia di alcuna conclusione circa il danno biologico lamentato quale aggravamento ("ingravescente forma di discopatia quale conseguenza aggravante il deficit deambulatorio") ... non avendo riproposto la Bo., né formulato appello incidentale condizionato, su quanto attiene alla valutazione di un pregiudizio che nella conclusionale l'appellata afferma essere sorto nel 2008", avendo mancato anche di rappresentarlo in sede di c.t.u. nel 2010, né con la comparsa conclusionale di primo grado del 2011 (cfr. p. 9 della sentenza di appello e sintesi al par. 2.1. dei "Fatti di causa").

La ricorrente, infatti, si limita a dedurre che, essendo l'aggravamento insorto soltanto nel 2015, quanto addotto dal giudice di appello sarebbe una "non-motivazione"; tuttavia, a fronte del ragionamento della Corte territoriale, pienamente intelligibile e non affatto intrinsecamente contraddittorio, la Bo. contrappone, inammissibilmente, una propria versione dei fatti che, come tale, non è in grado di scalfire quella, diversa, accertata dal giudice del merito.

19. - Il decimo motivo è assorbito dall'accoglimento del quinto motivo, in quanto attinente alla statuizione sulle spese di lite, travolta, ai sensi dell'art. 336, primo comma, c.p.c., dalla cassazione della sentenza di appello, dovendo, quindi, il giudice del rinvio rinnovare la relativa regolamentazione alla stregua dell'esito finale della lite (tra le molte: Cass. n. 4887/2016).

20. - Va, dunque, accolto il quinto motivo, dichiarati assorbiti il quarto e il decimo motivo e rigettati i restanti motivi.

La sentenza impugnata deve essere cassata in relazione al motivo accolto e la causa rinviata alla Corte di appello di Bologna, in diversa composizione, anche per la regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.

 

P.Q.M.

accoglie il quinto motivo, dichiara assorbiti il quarto e il decimo motivo e rigetta i restanti motivi del ricorso;

cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di appello di Bologna, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Dispone che, in caso di utilizzazione del presente provvedimento in qualsiasi forma, sia omessa l'indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi di Bo.An. ivi riportati.

Così deciso in Roma l'8 marzo 2024.

Depositata in Cancelleria il 22 aprile 2024.