(30/10/2023) - Corte Suprema di Cassazione - Sezione Lavoro n. 3654/2023 del 19/10/2023 - Straining: fatto commesso isolatamente e fatto illecito ex Art. 2087 cc
È oramai risalente l'orientamento (Cass. n. 3291 del 19 febbraio 2016) secondo cui, al di là della tassonomia e della qualificazione come mobbing e straining, quello che conta in questa materia, è che il fatto commesso, anche isolatamente, sia un fatto illecito ex art. 2087 c.c., da cui sia derivata la violazione di interessi protetti del lavoratore al più elevato livello dell'ordinamento (la sua integrità psicofisica, la dignità, l'identità personale, la partecipazione alla vita sociale e politica). È, invero, noto l'orientamento costante di codesta Suprema Corte (sent. n. 18164/2018, n. 3977/2018 n. 7844/2018,12164/2028, 12437/2018, 4222/2016), secondo cui lo straining rappresenti una forma attenuata di mobbing, perché priva della continuità, ma sempre riconducibile all'art. 2087 cod. civ., sicché se viene accertato lo straining, e non il mobbing, la domanda di risarcimento del danno deve essere comunque accolta (Cass. 29 marzo 2018 n. 7844, Cass. 10 luglio 2018 n. 18164, Cass. 23 maggio 2022 n.16580, Cass. 11 novembre 2022 n. 33428). Codesta Corte con ordinanza del 7 febbraio 2023 n. 3692 ha assegnato valore dirimente al rilievo dell’ambiente lavorativo stressogeno quale fatto ingiusto, suscettibile di condurre anche al riesame di tutte le altre condotte datoriali allegate come vessatorie, ancorché apparentemente lecite o solo episodiche, in quanto la tutela del diritto fondamentale della persona del lavoratore trova fonte direttamente nella lettura, costituzionalmente orientata, dell'art. 2087 c.c. Negli stessi termini da ultimo v. Cass. 33639/2022, 33428/2022, 31514/2022. In questi termini vale l'insegnamento (Cass. n 3012/2010) secondo cui: “Il giudice di merito, nell'indagine diretta all'individuazione del contenuto e della portata delle domande sottoposte alla sua cognizione, non è tenuto ad uniformarsi al tenore meramente letterale degli atti nei quali le domande medesime risultino contenute, dovendo, per converso, aver riguardo al contenuto sostanziale della pretesa fatta valere, sì come desumibile dalla natura delle vicende dedotte e rappresentate dalla parte istante, mentre incorre nel vizio di omesso esame ove limiti la sua pronuncia in relazione alla sola prospettazione letterale della pretesa, trascurando la ricerca dell'effettivo suo contenuto sostanziale. In particolare, il giudice non può prescindere dal considerare che anche un'istanza non espressa può ritenersi implicitamente formulata se in rapporto di connessione con il "petitum" e la "causa petendi".