Condannato l'ente comunale per straining (mobbing) sul posto di lavoro (TRIBUNALE DI NAPOLI - SEZIONE LAVORO - DEPOSITATA SENTENZA N. 449/2022 DEL 04/02/2022.

Condannato l

REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO  Tribunale di Napoli SEZIONE LAVORO
Il Tribunale, nella persona del giudice designato Dott. Giovanna Picciotti

Alla udienza del 28/10/2021 ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa lavoro di I grado iscritta al N 27152/2017 R.G. promossa da:

S. P. con il patrocinio dell’avv. CHICOLI ANTONIO, con elezione di domicilio in VIA TOLEDO N. 106, NAPOLI, come da procura in atti;

RICORRENTE

contro:
COMUNE DI  , con il patrocinio dell’avv.  , con

elezione di domicilio in         ;

OGGETTO: risarcimento danno mobbing CONCLUSIONI: come in atti.

Oggetto del giudizio sono i plurimi comportamenti datoriali che il ricorrente assumere essere ascrivibili alla fattispecie del mobbing e da cui conseguono le pretese risarcitorie indicate in ricorso.

Opportuno brevemente rammentare che, secondo la consolidata giurisprudenza della Suprema Corte (v. Cass. n. 26684 del 10/11/2017; Cass. n.2437 del 21/05/2018) ai fini della configurabilità del mobbing lavorativo devono ricorrere:

a) una serie di comportamenti di carattere persecutorio - illeciti o anche leciti se considerati singolarmente - che, con intento vessatorio, siano posti in essere contro la vittima in modo miratamente sistematico e prolungato nel tempo, direttamente da parte del datore di lavoro o di un suo preposto o anche da parte di altri dipendenti, sottoposti al potere direttivo dei primi;

b) l'evento lesivo della salute, della personalità o della dignità del dipendente;

c) il nesso eziologico tra le descritte condotte e il pregiudizio subito dalla vittima nella propria integrità psicofisica e/o nella propria dignità;

d) l'elemento soggettivo, cioè l'intento persecutorio unificante di tutti i comportamenti lesivi ( v. ex multis Cass. 6.8.2014 n. 17698; Cass. 24.11.2016 n. 24029).

L'elemento qualificante della fattispecie va, quindi, ricercato non nella legittimità o illegittimità dei singoli atti bensì nell'intento persecutorio che li unifica, che deve essere provato da chi assume di avere subito la condotta vessatoria e che spetta al giudice del merito accertare o escludere, tenendo conto di tutte le circostanze del caso concreto.

A tal fine la legittimità dei provvedimenti può rilevare ma solo indirettamente perché, ove facciano difetto elementi probatori di segno contrario, può essere sintomatica dell'assenza dell'elemento soggettivo che deve sorreggere la condotta, unitariamente considerata.

Parimenti la conflittualità delle relazioni personali esistenti all'interno dell'ufficio, che impone al datore di lavoro di intervenire per ripristinare la serenità necessaria per il corretto espletamento delle prestazioni lavorative, può essere apprezzata dal giudice per escludere che i provvedimenti siano stati adottati al solo fine di mortificare la personalità e la dignità del lavoratore.

Nel giudizio sulla sussistenza o meno dell'intento persecutorio rileva anche la natura pubblica del datore di lavoro, che, nel rispetto del principio costituzionale di cui all'art. 97 cost., è tenuto ad intervenire per assicurare efficienza, legittimità e trasparenza dell'azione amministrativa.

Il quadro probatorio, così come ricostruito all’esito dell’istruttoria svolta e dell’esame della documentazione agli atti, conduce lecitamente a fondare il convincimento giudiziale in ordine alla sussistenza, non tanto di un vero e proprio fenomeno di mobbing, quanto, piuttosto, di cd. “straining”.

Trattasi di una forma attenuata di mobbing nella quale non si riscontra il carattere della continuità delle azioni vessatorie; tali azioni, però, ove si rivelino produttive di danno all'integrità psico-fisica del lavoratore, giustificano la pretesa risarcitoria fondata sull'art. 2087 cod. civ., norma di cui, è noto che da tempo è stata fornita un'interpretazione estensiva costituzionalmente orientata al rispetto di beni essenziali e primari quali sono il diritto alla salute, la dignità umana e i diritti inviolabili della persona, tutelati dagli artt. 32, 41 e 2 Cost. (v. Cass. 4 novembre 2016, n. 3291 e la recente Cass. 19 febbraio 2018, n. 3977).

Per altro e concorrente aspetto non è, peraltro condizione sufficiente l'accertata

esistenza di una dequalificazione o di plurime condotte datoriali illegittime, essendo, in ogni caso, necessario che il lavoratore alleghi e provi, con ulteriori e concreti elementi, che i comportamenti datoriali siano il frutto di un disegno persecutorio

unificante, preordinato alla prevaricazione (V. Cass. n. 10992 del 09/06/2020).

E’ appena il caso di evidenziare che la qualificazione della fattispecie in termini di straining, mentre in ricorso si è fatto riferimento al mobbing, non integra la violazione dell’112 c.p.c., in quanto si tratta soltanto di adoperare differenti qualificazioni di tipo medico-legale, per identificare comportamenti ostili, in ipotesi atti ad incidere sul diritto alla salute, costituzionalmente tutelato.

Il datore di lavoro è, invero, tenuto ad evitare situazioni ‘stressogene' che diano origine ad una condizione che, per caratteristiche, gravità, frustrazione personale o professionale, altre circostanze del caso concreto. possa presuntivamente ricondurre a questa forma di danno anche in caso di mancata prova di un preciso intento persecutorio (sul punto, la già citata Cass. n. 3291/2016 , nonché Cass. n. 7844 del 29/03/2018 e Cass. n. 18164 del 10/07/2018).

E la piattaforma probatoria può agevolmente condurre al giudizio circa la accertata sussistenza di plurimi episodi espressione di un clima di tensione, sia sotto il profilo dei ritmi lavorativi che delle modalità relazionali, che afferiscono pienamente all’accezione propria di stress lavorativo.

Invero, si ritiene che, sotto la veste di un apparentemente normale impulso per la efficienza e la funzionalità dell’ufficio, la condotta dello Iervolino si sia caratterizzata, in termini generali, per la immotivata ostilità e durezza degli atteggiamenti assunti nei confronti del ricorrente, e, come si avrà modo di dire più approfonditamente nel prosieguo, per l’assegnazione di plurimi carichi di lavoro, nonsempre attinenti alla professionalità specifica del profilo posseduto, per la richiesta di prestazioni lavorative non necessarie, in alcuni casi addirittura di tipo manuale, e, più in generale, per l’adozione di decisioni incidenti, in negativo, sul rapporto di lavoro non supportate da effettive esigenze organizzative.

(omissis)

Acclarata, pertanto, la violazione da parte del datore di lavoro pubblico dell’art. 2087 c.c., nella forma dello straining, occorre provvedere alla valutazione del danno conseguenza e della sua risarcibilità.

E’ opportuno premettere taluni principi espressi dalla giurisprudenza di legittimità - rilevanti ai fini della delibazione dei motivi di ricorso - e qui condivisi e ribaditi in ordine al riconoscimento del danno differenziale a favore del lavoratore infortunato nonché affermare specifici principi riguardo al criterio di raffronto tra risarcimento del danno (civilistico) ed indennizzo erogato dall'INAIL.

La differenza strutturale e funzionale tra l'erogazione INAIL ex art. 13 del d.lgs. n. 38 del 2000 e il risarcimento del danno secondo i criteri civilistici preclude di poter ritenere che le somme eventualmente a tale titolo versate dall'istituto assicuratore possano considerarsi integralmente satisfattive del diritto al risarcimento del danno in capo al soggetto infortunato od ammalato.

La diversità ontologica tra l'istituto assicurativo e le regole della responsabilità civile trova un riscontro sul piano costituzionale, posto che i due rimedi rinvengono ciascuno un referente normativo diverso: la prestazione indennitaria risponde agli obiettivi di solidarietà sociale cui ha riguardo l'art. 38 Cost. mentre il rimedio risarcitorio, a presidio dei valori della persona, si innesta sull'art. 32 Cost.

L'assicurazione INAIL non copre tutto il danno biologico conseguente all'infortunio o alla malattia professionale ed ammettere il carattere assorbente della prestazione indennitaria (per effetto della rimodulazione dell'art. 13 del d.lgs. n. 38 del 2000) implicherebbe una riduzione secca del livello protettivo, sia rispetto alle potenzialità risarcitorie del danno biologico sia a confronto con il ristoro accordato a qualsivoglia vittima di un evento lesivo (cfr. Cass., Sez. Lav., n. 777 del 2015; Cass., Sez. Lav., n. 19973, Cass., Sez. Lay., n. 23263, entrambe del 2017).

Ebbene, l'ordinamento riconosce la categoria del danno patrimoniale (art. 1223 cod.civ.) e quella del danno non patrimoniale (artt. 2059 cod.civ., 185 cod.pen.).

A partire dall'interpretazione affermata dalle c.d. "sentenze di San Martino" del 2008 (segnatamente, v. Cass., Sez. Un., n. 26972 del 2008), il danno non patrimoniale costituisce una categoria di danno unitaria, che ricomprende in sé tutte le possibili componenti di pregiudizio non aventi rilievo patrimoniale (tra le tante, Cass., Sez. III, n. 4043 del 2013; Cass., Sez.III, n. 15491 del 2014; Cass., Sez.III, n. 3505 del 2016), da liquidarsi, dunque, in modo omnicomprensivo, evitando duplicazioni risarcitorie (Cass., Sez.III, n. 9320 del 2015; Cass., Sez. III, n. 16992 del 2015); la natura unitaria della categoria non va intesa nel senso di escludere la possibilità di rilevare, all'interno di essa, le diverse componenti che la formano, componenti riconosciute dalle stesse Sezioni Unite. Con specifico riguardo alla nozione di danno biologico nell'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e ai relativi rapporti con le altre voci di danno rientranti nella categoria del danno non patrimoniale, nell'ambito della categoria del danno non patrimoniale (categoria giuridicamente, anche se non fenomenologicamente, unitaria), vi sono alcune voci escluse in apicibus dalla copertura assicurativa INAIL (c.d. danno complementare, definito pure differenziale qualitativo, in relazione al quale non sussiste copertura assicurativa INAIL): il danno biologico temporaneo, il danno biologico in franchigia (fino al 5%,), il danno morale.

Invero, l'art. 13 del d.lgs, n. 38 del 2000 include nell'indennizzo erogato dall'INAIL esclusivamente il danno biologico, inteso come "lesione - pari o superiore al 6% - all'integrità psicofisica, suscettibile di valutazione medico legale, della persona" valutata secondo una specifica Tabella delle menomazioni (ossia delle percentuali di invalidità permanente, redatta dal Ministero del Lavoro) "comprensiva degli aspetti dinamico-relazionali". Se, dunque, la definizione di danno biologico che

si ricava dal d.lgs. n. 38 comprende sia la lesione statica che le ripercussioni dinamico-relazionali nella vita del danneggiato, dalla nozione legislativa appaiono senz'altro escluse voci che concorrono pur sempre a costituire il danno non patrimoniale: le lesioni all'integrità psicofisica di natura transitoria (il danno biologico temporaneo), le lesioni sotto una determinata soglia minima, il danno morale ossia la sofferenza interiore (ad esempio il dolore dell'animo, la vergogna, la disistima di sé, la paura, la disperazione) che non ha base organica ed è estranea alla determinazione medico-legale.

Considerato, dunque, che la nozione di danno biologico in senso omnicomprensivo, quale lesione alla salute, comprende, secondo i criteri civilistici, la lesione medico legale (ossia la perdita anatomica o funzionale), il danno dinamico- relazionale (sia nei suoi aspetti ordinari, comuni a qualunque persona con la medesima invalidità, sia in quelli peculiari, specifici del caso concreto), e tutti i conseguenti pregiudizi che la lesione produce sulle attività quotidiane, personali e relazionali (cfr., da ultimo, su tale nozione, Cass., Sez.III, n. 7513 e n. 23469 del 2018), può ritenersi, in ossequio alla nozione unitaria di danno non patrimoniale, correttamente comparabile il danno biologico, valutato in senso civilistico, con l'indennizzo del danno biologico liquidato dall'INAIL ai sensi dell'art. 13 del d.lgs. n. 38 del 2000, trattandosi di poste omogenee (sul computo per poste omogenee, cfr. Cass., Sez. III, n. 13222 del 2016; Cass., Sez. Lav., n. 20807 del 2016; Cass., Sez.Lav., 9166 del 2017).

Peraltro, in aderenza al criterio dell'integrità del risarcimento (ribadito dalle Sezioni Unite nel 2008), i pregiudizi che non attengono alla lesione della salute ma che afferiscono pur sempre alla persona e che integrano, pertanto, un danno non patrimoniale in quanto conseguono alla lesione di altri interessi costituzionalmente tutelati, vanno liquidati separatamente.

Insomma, se - da una parte - la ribadita adesione alla nozione unitaria di danno non patrimoniale affermata nel 2008 dalle Sezioni Unite impone di considerare in maniera omogenea e omnicomprensiva la lesione di interessi inerenti la persona (con riguardo alle menomazioni subite, all'incidenza negativa sugli aspetti dinamico- relazionali della persona, alla sofferenza interiore e al sentimento di afflizione), evitando la proliferazione di voci di danno, - dall'altra parte - il principio di integralità del relativo risarcimento esige che il raffronto tra responsabilità civile e tutela previdenziale tenga conto degli aspetti chiaramente estranei all'oggetto dell'assicurazione sociale.

In sintesi, il raffronto tra risarcimento del danno civilistico ed indennizzo erogato dall'INAIL va effettuato secondo un computo per poste omogenee: vanno, dapprima, distinte le due categorie di danno (patrimoniale e non patrimoniale); il danno patrimoniale calcolato con i criteri civilistici va comparato alla quota INAIL rapportata alla retribuzione ed alla capacità lavorativa specifica dell'assicurato (volta all'indennizzo del danno patrimoniale); in ordine al danno non patrimoniale, effettuato il calcolo secondo i criteri civilistici, vanno, dapprima, espunte le voci escluse dalla copertura assicurativa (danno morale e danno biologico temporaneo)

che spettano interamente al danneggiato e, poi, dall'ammontare complessivo del danno non patrimoniale così ricavato (corrispondente al danno biologico) va detratto (non già il valore capitale dell'intera rendita costituita dall'INAIL, ma solo) il valore capitale della quota della rendita INAIL destinata a ristorare, in forza dell'art. 13 d.lgs. n. 38 del 2000, il danno biologico stesso.

Per esigenze di completezza, va ricordato che le Sezioni Unite, intervenendo in materia di azione di regresso dell'INAIL, hanno affermato che opera il principio della compensatio lucri cum damno quale meccanismo di riequilibrio idoneo a garantire che il terzo responsabile dell'infortunio in itinere, estraneo al rapporto assicurativo, sia obbligato a restituire all'INAIL l'importo corrispondente al valore della rendita per inabilità permanente costituita in favore del lavoratore assicurato nonché a versare al danneggiato solamente l'eventuale maggior danno (con detrazione, dunque, dell'importo della rendita per l'inabilità permanente, corrisposta dall'INAIL per l'infortunio "in itinere" occorso al lavoratore, dall'ammontare del risarcimento dovuto, allo stesso titolo, al danneggiato da parte del terzo responsabile del fatto illecito), confermando che il cumulo di benefici, di carattere indennitario e risarcitorio, determina una locupletazione del danneggiato, strutturalmente incompatibile con la natura meramente reintegratoria della responsabilità civile (Cass., Sez. Un., n. 12566 del 2018, nonché nn. 12564 e 12565, del 2018).

Il richiamo di questo recente arresto delle Sezioni Unite consente di ribadire (alla stregua di quanto già affermato dalle stesse Sezioni Unite nel 2008) la necessità di evitare automatismi e duplicazioni risarcitorie; con particolare riferimento ai pregiudizi patiti nella sfera dinamico-relazionale della vita del soggetto leso, il giudice di merito dovrà, dunque, verificare che la liquidazione del danno morale, che - come detto - è oggetto di separata ed autonoma valutazione, non costituisca duplicazione risarcitoria della valutazione di questi medesimi aspetti nell'ambito del danno biologico.

I richiamati principi delle Sezioni Unite vanno, peraltro, coordinati con la specialità della disciplina sul danno differenziale alla quale rimangono pienamente applicabili i principi enunciati in precedenza.

In questo contesto, va dato atto che la legge di bilancio per l'anno 2019 (legge n. 145 del 2018), - all'art. 1, comma 1126 - ha sostanzialmente introdotto un diverso sistema di comparazione tra danno civilistico e indennizzo erogato dall'INAIL mediante l'adozione di un criterio di scomputo "per sommatoria" o "integrale", anziché "per poste", con conseguente diritto di regresso dell'Istituto per "le somme a qualsiasi titolo pagate".

Deve, peraltro, affermarsi, come già statuito dalla Suprema Corte (sentenza n. 8580 del 2019) che le modifiche dell'art. 10 del D.P.R. n. 1124 del 1965, introdotte dall'art. 1, comma 1126, della legge n. 145 del 2018, non possono trovare applicazione in riferimento agli infortuni sul lavoro verificatisi e alle malattie professionali denunciate prima dell'1.1.2019, data di entrata in vigore della citata legge finanziaria; quindi la novella in esame non ha rilievo nel presente procedimento che ha ad oggetto una malattia professionale denunciata prima dell'entrata in vigore della legge n. 145 del 2018.

Ciò posto, è stata disposta consulenza medico legale ai fini dell’accertamento della derivazione della patologia di cui il ricorrente assume essere affetto e i predetti comportamenti stressogeni del datore di lavoro.

Il CTU, dott, ....... ha ritenuto che il ......... è affetto da disturbo dell’adattamento persistente con ansia e umore depresso di grado moderato; di seguito, ha affermato che la descrizione degli eventi, come indicati in ricorso e risultati provate a seguito della istruttoria svolta e della documentazione in atti, deponesse, in ossequio al criterio di ragionevole probabilità del presunto antecedente causale, a favore della sussistenza del nesso causale della malattia.

Acclarato, quindi, il rapporto causa-effetto tra la patologia e l’evento, la dott.ssa ........o negli elaborati in atti, ha affrontato la questione della valutazione dei postumi permanenti invalidanti.

Innanzitutto il CTU ha escluso il danno da invalidità temporanea, per assenza di documentati o riferiti periodi di temporanea inabilità.

Si è quindi riferito al TU 1124 del 1965 riconoscendo la percentuale del danno biologico nella misura del 16%.

La perizia medico legale e le conclusioni cui essa è giunta appaiono il frutto di scrupolosi accertamenti condotti sul confronto tra risultanze dell'indagine anamnestica, dell'indagine documentale e della visita peritale, adeguatamente supportati dalla letteratura scientifica, sicchè questo giudicante condivide l'elaborato e le risposte ai quesiti posti, risultando il ragionamento dell'ausiliario esente da contraddizioni, errori di metodo o vizi logici.

Quanto ai criteri di liquidazione, la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che, nella liquidazione del danno biologico, quando manchino criteri stabiliti dalla legge, l'adozione della regola equitativa di cui all'art. 1226 cod. civ. deve garantire non solo una adeguata valutazione delle circostanze del caso concreto, ma anche l'uniformità di giudizio a fronte di casi analoghi, essendo intollerabile e non rispondente ad equità che danni identici possano essere liquidati in misura diversa sol perché esaminati da differenti Uffici giudiziari (Cfr. Cass. n. 12408 del 07/06/2011).

La corretta e fedele applicazione dei principi ivi indicati comporta che, in materia di risarcimento del danno ex art. 2087 c.c., ed in mancanza di dati normativi specificamente applicabili, debba trovare applicazione la tabella di cui al citato TU 1124 del 1965, attesa la medesimezza della lesione, non suscettibile di essere diversamente valutata a seconda del soggetto chiamato a risponderne.

Si è già detto, poi, che il risarcimento del danno alla persona deve essere integrale, essendo compito del giudice accertare l'effettiva consistenza del pregiudizio allegato, a prescindere dal nome attribuitogli. Pertanto, in tema di liquidazione del danno per la lesione del diritto alla salute, nei diversi aspetti o voci di cui tale unitaria categoria si compendia, l'applicazione dei criteri di valutazione equitativa, rimessa alla prudente discrezionalità del giudice, deve consentirne la maggiore approssimazione possibile all'integrale risarcimento, anche attraverso la ed. personalizzazione del danno (Cass., Sez. Un., n. 26972/08).

Per quanto attiene, quindi, alla quantificazione in concreto del pregiudizio complessivamente subito dalla ricorrente, ritiene il giudicante debbano essere adottati i criteri di liquidazione predisposti dal Tribunale di Milano.

Si tratta, invero, di parametri già ampiamente diffusi sul territorio nazionale - e ai quali la S.C. (v. sent. Cass. 12408 del 2011 cit)- , in applicazione dell'art. 3 Cost., riconosce la valenza, in linea generale, di conformità della valutazione equitativa del danno biologico alle disposizioni di cui agli artt. 1226 e 2056 cod. civ. -, salvo che non sussistano in concreto circostanze idonee a giustificarne l'abbandono (v. anche Cass. n. 8532 del 6/5/2020 sulla efficacia para-normativa).

E la liquidazione c.d. tabellare ben può considerare anche la componente prettamente soggettiva data dalla sofferenza morale conseguente alla lesione della salute, sia pure in una dimensione, per così dire, standardizzata, come risulta essere stato fatto con le tabelle elaborate dal Tribunale di Milano, alla stregua delle esplicazioni fornite in occasione della loro diffusione.

Le nuove tabelle elaborate dal Tribunale di Milano propongono, infatti, una liquidazione congiunta sia del danno non patrimoniale conseguente a lesione permanente dell'integrità psicofisica della persona suscettibile di accertamento medico-legale, sia nei suoi risvolti anatomo - funzionali e relazionali medi, sia in quelli peculiari (c.d. danno biologico "standard" e c.d. personalizzazione per particolari condizioni soggettive del danno biologico); sia del danno non patrimoniale conseguente alle medesime lesioni in termini di "dolore", "sofferenza soggettiva", in via di presunzione in riferimento ad un dato tipo di lesione (ed. danno morale).

A tal fine è stata, in primo luogo, redatta una tabella di valori monetari "medi" corrispondenti al caso di incidenza della lesione in termini "standardizzabili" in quanto frequentemente ricorrenti (sia circa gli aspetti anatomo - funzionali, sia circa gli aspetti relazionali, sia circa gli aspetti di sofferenza soggettiva); in secondo luogo sono state fissate percentuali di aumento di tali valori "medi" da utilizzarsi, onde consentire una adeguata "personalizzazione" complessiva della liquidazione, laddove il caso concreto presenti peculiarità che vengano allegate e provate (anche in via presuntiva) dal danneggiato.

Ma, intanto è possibile valutare nella loro effettiva consistenza le sofferenze fisiche e psichiche, patite dal soggetto leso e pervenire al ristoro del danno nella sua interezza, se vengano addotte circostanze che richiedano la variazione della liquidazione tabellare in aumento o in diminuzione, e di queste dovrà tenere conto il giudice al fine di escludere od ammettere la personalizzazione (cfr. Cass. n. 9231/13; n. 5243/14).

Ciò posto, nella fattispecie in oggetto, ritiene il giudicante, di dovere procedere unicamente all’applicazione c.d. tabellare pura, senza alcuna ulteriore personalizzazione, in considerazione sia della percentuale invalidante riconosciuta che della mancanza di alcuna prova circa specifiche situazioni di disagio dinamico- relazionali ovvero di sofferenza o turbamento d‘animo.

Al di là, invero, di mere formule di stile, nell’atto introduttivo, nulla è stato allegato in ordine all’alterazione in concreto delle abitudini di vita ovvero sulle sofferenze patite dal ricorrente.

In base all’applicazione delle suddette tabelle, spetta, pertanto, al ricorrente, la somma di € 45445,50, da cui va detratto l’importo spettante a titolo di indennizzo Inail, pari a € 1226,93 (come da conteggi elaborati dalla parte ricorrente e non oggetto di alcuna specifica contestazione contabile).

L’amministrazione comunale va, in definitiva, condannata al pagamento della somma attualizzata, pari a € 44.218,57 oltre interessi legali dalla pronuncia al saldo.

Tenuto conto della complessità della controversia, nonché del carico del ruolo e delle decisioni emesse da questo giudice in pari data, non si è potuto procedere alla contestuale lettura un udienza “del dispositivo e della esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione” così come disposto dal novellato primo comma dell’art. 429 cpc applicabile al presente giudizio ratione temporis.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. P. Q. M.

Il giudice, definitivamente pronunciando, ogni contraria istanza disattesa, così provvede:

1)condanna il Comune di ........i al risarcimento del danno non patrimoniale differenziale in favore del ricorrente nella misura di € 44.218,57 oltre interessi legali dalla pronuncia al saldo; 2) condanna il convenuto alla rifusione delle spese in favore del ricorrente che si liquidano complessivamente in €. 4700,00 comprensive di spese forfettarie, oltre IVA e cpa.

Così deciso in data 27-1-2022.

il Giudice Dott. Giovanna Picciotti