Onere della prova in materia di Demansionamento o Dequalificazione del lavoratore.

Onere della prova in materia di Demansionamento o Dequalificazione del lavoratore.

(Corte di Cassazione, sez. VI Civile - Lavoro, sentenza n. 25019/16 del 6/12/2016)

In materia di demansionamento o di dequalificazione, il lavoratore è tenuto a prospettare le circostanze di fatto, volte a dare fondamento alla denuncia, ed ha, quindi, il solo onere di allegare gli elementi di fatto significativi dell’illegittimo esercizio del potere datoriale, ma non anche quelli idonei a dimostrare in modo autosufficiente, la fondatezza delle pretese azionate, mentre il datore di lavoro è tenuto a prendere posizione, in maniera precisa e non limitata ad una generica contestazione, circa i fatti posti dal lavoratore a fondamento della domanda e può allegarne altri, indicativi, del legittimo esercizio del potere direttivo, fermo restando che spetta al giudice valutare se le mansioni assegnate siano dequalificanti, potendo egli presumere, nell’esercizio dei poteri, anche officiosi, a lui attribuiti, la fondatezza del diritto fatto valere anche da fatti non specificamente contestati dall’interessato, nonché da elementi altrimenti acquisiti o acquisibili al processo). Da ultimo è stato ribadito che "quando il lavoratore allega un demansionamento riconducibile ad un inesatto adempimento dell’obbligo gravante sul datore di lavoro ai sensi dell’art. 2103 c.c., è su quest’ultimo che incombe l’onere di provare l’esatto adempimento del suo obbligo, o attraverso la prova della mancanza in concreto del demansionamento, ovvero attraverso la prova che fosse giustificato dal legittimo esercizio dei poteri imprenditoriali o disciplinari oppure, in base all’art. 1218 c.c., a causa di un’impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile".