RATING E COLLOCAMENTO DI STRUMENTI FINANZIARI (Avv. Antonio Chicoli)

RATING E COLLOCAMENTO DI STRUMENTI FINANZIARI (Avv. Antonio Chicoli)

RATING

Molte volte nel gergo finanziario, specie nel mondo delle ob­bligazioni, si sente parlare di rating, ma non sempre se ne com­prende totalmente il significato.

Come detto in precedenza, un titolo obbligazionario rappre­senta un credito che l'investitore ha nei confronti di una so­cietà, banca o ente governativo. Come tale, è soggetto al ri­schio che, a causa del futuro deteriorarsi della situazione                 fi­nanziaria dell'emittente, quest'ultimo non sia in condizione di pagare le cedole alle date prefissate o, nei casi più gravi, di rimborsare il capitale a scadenza.

Ne deriva che l'acquisto di un titolo obbligazionario deve es­sere preceduto da un'accurata analisi delle caratteristiche fi­nanziarie del titolo e delle condizioni di stabilità e crescita economica attuale e prospettica di chi lo emette, esattamente come fa l'ufficio fidi di una banca prima di concedere un fi­nanziamento a un'impresa o a un privato.

Purtroppo, la mancanza di tempo, di accesso alle informazio­ni o, più semplicemente, la non totale padronanza di bilanci e dati contabili fa si che la maggioranza degli investitori (dai piccoli fino agli istituzionali) non disponga delle risorse suffi­cienti per svolgere l'analisi del merito di credito (ovvero la ca­pacità di far fronte ai propri impegni debitori) della società emittente le obbligazioni che si appresta ad acquistare. Per ovviare a tale carenza, sono nate le agenzie di rating. Si tratta di società specializzate che valutano la qualità creditizia di imprese, stati, governi nazionali e sopranazionali, esprimen­do il proprio giudizio sotto forma di rating. Il rating è quindi un giudizio sintetico, espresso attraverso un simbolo (ad esempio AAA), che valuta esclusivamente il rischio di credito, ovvero la capacità dell'emittente di far fronte puntualmente agli impegni di pagamento del capitale e degli interessi alle scadenze prefissate all'emissione.

La funzione principale del rating è quella di costituire uno strumento informativo sintetico, un efficiente mezzo segnale­tico che comunichi al mercato i risultati di un'accurata inda­gine svolta da analisti indipendenti dall'azienda valutata. L'a­simmetria informativa è infatti una delle principali cause di inefficienza del mercato e i servizi di rating contribuiscono a colmare tale gap informativo integrando e arricchendo il         qua­dro informativo sulle prospettive reddituali degli emittenti e distribuendole uniformemente tra gli operatori.

Il rating sintetico si basa su due distinti processi di analisi, tra loro integrati, tesi a valutare le probabilità di rimborso delle obbligazioni sia sotto il profilo qualitativo (analisi prospetti­che del settore e della struttura aziendale), sia sotto il profilo quantitativo (analisi di bilancio, analisi dei flussi di cassa).

Le due più grandi e accreditate agenzie di rating a livello inter­nazionale sono Standard & Poor's e Moody's, per le quali, pur utilizzando classificazioni leggermente differenti, il valore più alto è rappresentato dalla tripla A, che esprime la ragionevole certezza sulla capacità da parte dell'emittente di soddisfare i propri impegni debitori. La classificazione segue per entrambe le agenzie un andamento decrescente: ogni gradino di rating indica un giudizio via via meno positivo sulla solvibilità degli emittenti.

E’ possibile distinguere innanzitutto due ma­croclassi: titoli investment grade (dalla AAA o Aaa fino alla BBB- o Baa3), caratterizzati in genere da una bassa probabi­lità di insolvenza dell'emittente (ovviamente a scalare parten­do dalla AAA), e titoli speculative grade (definiti altrimenti junk unk bond ovvero "titoli spazzatura'), per la loro componente fortemente speculativa e, dunque, rischiosa.

Generalmente, più è alto il rating, minore è il rischio di insolvenza legato all'investimento e, di riflesso, anche il rendimen­to. Infatti, a rating elevati (investment grade) corrispondono obbligazioni a basso rischio con rendimenti contenuti o, più correttamente, in linea con i tassi di interesse di mercato; mentre a rating bassi (speculative grade) corrispondono ob­bligazioni ad alto rendimento, emesse da società/enti a me­dio-alto rischio fallimento. In altre parole, poiché il mercato non regala nulla, più alti sono i rendimenti offerti dai titoli obbligazionari, maggiore è la probabilità di non incassare il capitale a scadenza e/o gli interessi cedolari.

Il rating, dunque, diviene  indispensabile per l'investitore per valutare se un dato titolo abbia un livello di rischio in linea con gli obiettivi di investimento prefissati. Ma non solo. L'u­tilità del rating nasce dal fatto che si possono aggregare tra lo­ro titoli di pari rischiosità, rendendo possibile il confronto tra il rendimento di titoli di massima affidabilità e un gruppo di obbligazioni omogeneo per rating e scadenze.

In termini pratici, ad esempio, un investitore che si voglia ac­collare il rischio di investire in titoli obbligazionari apparte­nenti alla fascia di rating BBB dovrebbe, prima di effettuare l'investimento, conoscere in quel momento qual è lo spread, ovvero il premio per il rischio in termini di rendimento, ri­spetto a titoli molto affidabili (ad esempio con rating AAA). Se l'ammontare dello spread non fosse particolarmente appe­tibile (il 19 ottobre 2006, giorno del declassamento del rating dell'Italia da parte di Standard & Poor's da AA- ad A+, i titoli di Stato italiani a 10 anni rendevano 20 basis point in più ri­spetto ai Bund tedeschi, dotati di rating AAA), allora forse sa­rebbe inutile assumersi un rischio poco remunerato. Vicever­sa, se il premio per il rischio fosse particolarmente allettante da indurre a investire in quella classe di rating, allora biso­gnerà scegliere le obbligazioni che a parità di condizione (ra­ting, duration) massimizzino il rendimento (ovvero scegliere i migliori titoli appartenenti alla categoria BBB).

Il rating accompagna un'emissione fino alla scadenza. Tutta­via, il suo valore può subire modifiche nel corso del tempo. Le agenzie controllano continuamente la corrispondenza del giudizio assegnato alle evoluzioni del ciclo economico, del bu­siness e delle scelte strategiche e di indebitamento della so­cietà. Quando Moody's o Standard & Poor's valutano se mo­dificare il loro giudizio di rating, in primo luogo pongono la società sotto osservazione (outlook) e rendono pubblica la no­tizia.                Nel comunicare questa informazione, inoltre, dichiara­no l'attesa di revisione del rating: un outlook positivo sta a in­dicare che una società è sotto osservazione per un'eventuale rivisitazione al rialzo del giudizio di rating (upgrade), un out-look negativo indica la possibilità di un'eventuale rivisitazione al ribasso del giudizio di rating (downgrade).

Il termine outlook rappresenta un orientamento di medio-lungo periodo. L'agenzia di rating cioè si riserva la facoltà di modificare il rating in un periodo che di solito non supera i 24 mesi. Quando, invece, l'agenzia si riserva di modificarlo nel breve periodo (di solito compreso fra i 3-6 mesi), allora il rating posto sotto osservazione viene inserito nella lista credit watch seguita dall'aggettivo "positiva" qualora vi sia la possibilità che, al termine dei lavori di analisi, si realizzi un upgrade, o "negativa" nel caso ovviamente di rischio di downgrade. L'avvenuto miglioramento di rating general­mente è accompagnato da un aumento del prezzo del titolo sul mercato; un peggioramento comporta, invece, una                  ridu­zione dei corsi.

In definitiva, l'analisi legata al rischio di controparte non deve basarsi unicamente sulla situazione attuale fotografata dal ra­ting. Sarebbe utile anche informarsi sul percorso storico se­guito dall'emittente e se, sulla situazione attuale, gravino o meno revisioni del medesimo merito di credito.

- Limiti e utilizzo del rating

I giudizi di rating devono costi­tuire un elemento importante dell'informativa a disposizione degli investitori, ma non esaustiva. Troppo spesso la presenza di un rating viene utilizzata per prospettare degli investimenti quasi che rappresenti una sorta di "certificazione" sulla qualità degli stessi, lasciando anzi intendere che, contrariamente a quanto la più recente esperienza insegna, se un'emissione è "retata" (assistita da rating) è anche "sicura.

Innanzitutto bisogna sapere che non tutte le emissioni obbli­gazionarie sono assistite da rating e che quest'ultimo nasce per volontà degli emittenti. Questi ultimi, infatti, chiedendo in autonomia il rating, decidono di sottoporsi a una valutazione globale per mettere a disposizione degli investitori uno stru­mento oggettivo e riconosciuto di valutazione del merito di credito al fine non solo di aumentare le informazioni a dispo­sizione degli investitori, ma anche con la speranza di incre­mentare la domanda dei titoli emessi.

Tuttavia, i giudizi di rating resi pubblici rappresentano solo costanza che il giudizio è chiesto e pagato dall'emittente, que­st'ultimo ha il potere di non divulgarlo se ritiene che ne possa derivare un danno alla sua immagine o, più semplicemente, se il giudizio, rivelandosi inferiore alle sue aspettative, dovesse comportare, oltre al pagamento di un tasso di rendimento su­periore, anche una certa difficoltà nel collocare il prodotto sul mercato.

A tal proposito ricordiamo come la presenza di un livello mi­nimo di rating (investment grade) costituisce un prerequisito per poter includere i titoli obbligazionari nel portafoglio di al­cuni investitori istituzionali, soprattutto fondi pensione. Si comprende benissimo come la fascia di rating pari alla BBB­(o Baa3) rappresenti una soglia molto critica in quanto segna il passaggio dalla categoria investment grade alla categoria speculative grade.

Più di recente, le crisi societarie che hanno interessato le im­prese di diversi paesi hanno evidenziato una difficoltà dei giu­dizi di rating ad "anticipare" l'emergere di tali crisi, sottoli­neando la sostanziale incapacità dei soggetti che producono i giudizi a fornire adeguati segnali sull'evoluzione della rischio­sità degli emittenti oggetto di giudizio e dei titoli da questi diffusi.

Come noto, negli ultimi anni, negli USA il dibattito sulle agenzie di rating si è sviluppato a seguito del "ritardo" con il quale queste sono intervenute nel corso dei crolli finanziari di alcune grandi società: Moody's, Standard & Poor's e Fitch hanno assegnato il rating investment grade a WorldCom sino a 42 giorni prima dell'istanza di fallimento e fino 4 giorni pri­ma nel caso di Enron!

In Italia la vicenda Parmalat, società assistita da rating, ha get­tato nuova luce sull'argomento, sollevando riflessioni in meri­to alla tempestività delle revisioni del giudizio sul, merito di credito. In particolare, ci si è chiesti se la decisione di  Stan­dard & Poor's di intervenire, declassando il rating di dieci li­velli in due giorni, sia stata presa con eccessivo ritardo e se tale ritardo sia stato dannoso per i risparmiatori. Si ricorda, in­fatti, che l'agenzia è intervenuta la prima volta il 9 dicembre 2003, portando il rating da BBB- a B+ (dopo aver aperto un credit watch negativo PI 1 novembre), la seconda volta il 1 dicembre, portando il rating a CC; la dichiarazione d'insol­venza (rating D) è arrivata il 19 dicembre, a fronte del manca­to pagamento di un'opzione put con cui la Parmalat avrebbe dovuto rilevare le quote degli azionisti di minoranza di una controllata brasiliana.

I giudizi di rating devono costituire un elemento importan­te dell'informativa a disposizione degli investitori. Ritenere, però, che l'apposizione di un giudizio possa prevenire quelle situazioni di crisi che i recenti scandali finanziari hanno pa­lesato con drammaticità sarebbe errato. Giacché il rating al­tro non esprime che una probabilità di insolvenza, laddove i titoli sono destinati a essere collocati presso i portafogli de­gli investitori retail, sarebbe bene rafforzare il suo valore se­gnaletico con un altro indicatore più immediatamente per­cepibile. Si tratta cioè di affiancare il giudizio di rating, co­me oggi lo conosciamo, con una misurazione in centesimi della perdita massima a cui si espone chi sottoscrive quel ti­tolo. L'applicazione di metodologie di value at risk (vAR) contribuirebbe a migliorare il set informativo a disposizione del mercato e, soprattutto, a renderlo più intelligibile a chiunque.

- Classificazione del rating.

I Rating secondo Moody’s e Standard & Poor’s

Affidabilità

Standard & Poor’s

Moody’s

Eccellente

AAA

Aaa

Ottima

AA+

Aa1

 

AA

Aa2

 

AA-

Aa3

Buona

A+

A1

 

A

A2

 

A-

A3

Sufficiente

BBB+

Baa1

 

BBB

Baa2

 

BBB-

Baa3

Insufficiente

BB+

Ba1

 

BB

Ba2

 

BB-

Ba3

Bassa

B+

B1

 

B

B2

 

B-

B3

Bassissima

CCC

Caa

 

CC

Ca

 

C

C

 

- Il rischio di illiquidità

In precedenza abbiamo detto che tutto quello che può conse­guire dalla fallibilità di un'emittente viene identificato con l'e­spressione "rischio di credito". Ma esiste un rischio ulteriore che gli investitori corrono, spesso difficile da comprendere e conoscere in maniera adeguata.

Stiamo parlando del rischio di illiquidità, ossia il rischio che gli operatori di mercato, per problemi che possono non avere niente a che fare con l'emittente dei titoli, smettano di fare prezzi e riacquistare le obbligazioni.

Possiamo definire la liquidità come la possibilità di acquistare o vendere un titolo senza significative ripercussioni negative sul prezzo. Cerchiamo di chiarire il concetto.

In un mercato basato sulle quotazioni, esistono due prezzi: un prezzo "denaro" (bid), che rappresenta quello a cui l'interme­diario è disposto ad acquistare (ovvero il prezzo al quale l'in­vestitore vende) e un prezzo "lettera" (ask), ossia quello a cui l'intermediario è disposto a vendere (ovvero il prezzo al quale l'investitore acquista). Ovviamente, in ogni momento, poiché l'intermediario compra a un prezzo sempre più basso rispetto al prezzo al quale è disposto a vendere, il prezzo bid sarà sem­pre inferiore al prezzo ask.

Il piccolo divario espresso dal differenziale fra i prezzi in ac­quisto e in vendita (spread bid-ask) rappresenta il migliore indicatore della liquidità per un titolo obbligazionario. Indi­cativamente, quanto minore è lo spread, più il titolo è               scam­biato e, di conseguenza, più è liquido. La presenza, infatti, di tanti intermediari che scambiano il titolo sul mercato ge­nera una sorta di concorrenza, la quale fa sì che il prezzo ap­plicato sia il più vicino possibile al cosiddetto prezzo fair, ovvero al prezzo di equilibrio che il titolo dovrebbe quotare, considerati i tassi di mercato, la struttura finanziaria e il suo grado di rischio.

È naturale comprendere come una delle esigenze più sentite da parte di molti investitori, sia quella di avere in portafoglio titoli facilmente reperibili sul mercato e, al tempo stesso, an­cor più facili da smobilizzare. Non basta che i titoli                obbliga­zionari paghino rendimenti allettanti e offrano buone garan­zie di rimborso: occorre, se si decide di modificare la compo­sizione del portafoglio investito, che non si debba liquidare la posizione al costo di una vera e propria svendita, ammesso che il bond sia comunque di qualità decente.

A tal proposito, è bene ricordare che la liquidità dei titoli del comparto pubblico è molto più elevata rispetto a quella dei ti­toli societari. Ciò comporta grande facilità di acquisto e di smobilizzo per i bond pubblici, mentre si possono incontrare difficoltà per l'acquisto o la vendita di titoli societari. Di nor­ma la causa va ricercata nel quantitativo di titoli collocati in emissione, molto più bassa per i corporate bond visto che, co­me regola generale, all'aumentare della dimensione dell'emis­sione, aumenta la liquidità di un titolo. La liquidità, in defi­nitiva, rappresenta un ulteriore fattore importante da tenere in considerazione nel momento in cui si effettua una scelta di investimento.

- Le emissioni bancarie

Un cenno a parte meritano le obbligazioni emesse dalle ban­che. Gli istituti di credito sono noti a tutti gli investitori e il debito bancario è percepito come garanzia assoluta contro i rischi di insolvenza, anche se l'emittente non possiede un'affi­dabilità particolarmente elevata. L'attività, inoltre, viene faci­litata dall'esistenza di un rapporto di fiducia solido e duraturo tra la banca e i propri clienti.

Questa situazione comporta spesso che le banche collochi­no presso la propria clientela titoli obbligazionari non in li­nea con i tassi di rendimento di mercato garantiti, ad esem­pio, dai semplici titoli di Stato, pur avendo un grado di ri­schio di controparte superiore. Questo ovviamente va tutto a vantaggio delle banche, che riescono a finanziarsi a costi più bassi.

Le emissioni bancarie, poi, essendo nella maggior parte dei casi di dimensioni modeste, sono assolutamente poco liqui­de. Questo comporta che nel momento in cui un investito­re, per diversi motivi, voglia vendere il titolo, avrebbe come controparte unicamente la banca che glielo ha venduto e sarebbe soggetto al prezzo praticato dalla medesima. Non so­lo. Bisogna anche tenere presente come alle banche sia rico­nosciuta la possibilità di raccogliere risparmio mediante l'e­missione di obbligazioni subordinate. Si tratta di strumenti finanziari caratterizzati da un livello di garanzia inferiore ri­spetto ad altre tipologie di titoli visto che, in caso di liquida­zione della banca, il debito subordinato è rimborsabile solo quando sono stati soddisfatti tutti gli altri creditori. Il mag­gior rischio che le caratterizza rispetto a strumenti analoghi è compensato da un tasso di interesse di norma superiore a quello mediamente corrisposto per prestiti "ordinari" di me­desima durata.

Esiste il rischio che questi titoli vengano presentati come nor­mali obbligazioni, dotate di una remunerazione superiore a quella usuale, senza che venga specificato in che cosa tali tito­li siano particolari e a che cosa si debba l'insolita remunera­zione. La caratteristica essenziale degli strumenti subordinati è che vengono considerati dalle banche che li emettono non come tradizionali debiti, ma come una forma di capitale azio­nario, cosa che permette agli istituti di credito di aumentare i propri volumi di attività.

La probabilità che una banca venga messa in liquidazione è molto bassa, si tratta di un evento che finora si è dimostrato più teorico che pratico, ma che non è da escludere a priori, considerando la durata elevata di tali obbligazioni (non meno di 5 anni).

- Le tipologie di titoli subordinati

La categoria dei titoli su­bordinati è ampia e si distingue per tipologie, grado di rischio e redditività (a rischio maggiore corrisponde una remunera­zione maggiore). I nomi utilizzati per definire i singoli stru­menti sono di derivazione inglese e comuni a tutte le istitu­zioni creditizie europee e dei principali paesi occidentali: Tier 1, Upper Tier 2, Lower Tier 2 e Tier 3.

Tier I. Si tratta della tipologia più rischiosa, da assimilare a un'azione di risparmio con dividendolcedola definito a priori. Non ha scadenza, ma l'emittente ha la possibilità di rimborsa­re il titolo (opzione cali) di solito al decimo anno (con l'assen­so della Banca centrale) e, se non lo fa, la cedola cresce, ren­dendo più onerosa questa via di finanziamento. La cedola è fissa o variabile fino alla data del possibile richiamo, mentre è sempre variabile successivamente.

Qualora la banca non paghi dividendi agli azionisti, la cedola viene cancellata e persa. Qualora vengano realizzate perdite che mettono in pericolo la solidità della banca, il capitale no­minale viene decurtato, pro quota, di queste perdite. In caso di liquidazione, vengono privilegiati i portatori di Tier 2 (Lower e Upper) e Tier 3. A causa della natura ibrida di que­sto titolo, che si colloca tra un'azione e un'obbligazione, la maggioranza delle banche italiane lo considera, dal punto di vista fiscale, un titolo atipico con cedole soggette a una rite­nuta del 27%.

Upper Tier 2. Meno rischioso del Tier 1, ha una scadenza di 10 anni o superiore. In caso l'emittente chiuda l'esercizio in perdita, le cedole non vengono cancellate, ma solo sospese e pagate, tutte insieme, nel primo anno che si chiuda in utile. Di solito non è prevista alcuna remunerazione o capitalizza­zione per le cedole eventualmente pagate in ritardo. Il nomi­nale può essere diminuito, in casi straordinari e più limitati che nel caso del Tier 1.

In caso di liquidazione vengono privilegiati i portatori di Lower Tier 2 e Tier 3. Dal punto di vista fiscale, il titolo è da alcuni assimilato al Tier 1 (ritenuta del 27% sulle cedole), mentre altri lo considerano una normale obbligazione (impo­sta sostitutiva del 12,5%).

Lower Tier 2. La scadenza è usualmente di 10 anni, ma l'e­mittente può (e deve) rimborsare alla pari al quinto anno.

La banca non utilizza l'opzione di rimborso anticipato al quinto anno, non solo la cedola viene aumentata in modo consistente, ma l'emittente viene anche penalizzato dalla Banca centrale.

Le cedole, variabili o fisse, vengono sempre pagate alla data prefissata; sono bloccate solo in caso di una vera e propria in­solvenza.

Il capitale non subisce decurtazioni, se non in caso di liquida­zione della banca. Si tratta del meno complicato e rischioso dei subordinati, ma, proprio per questo, molto soggetto a es­sere venduto come una normale obbligazione "senior". In ca­so di liquidazione dell'emittente, questo strumento viene pre­ferito ai Tier 1 e Upper Tier 2, trovandosi allo stesso livello dei Tier 3. Il rendimento di mercato per nuove emissioni è pari al tasso IRS/EURIBOR a 10 anni maggiorato di un margine compreso tra 0,40 e 1,1%, in dipendenza della qualità dell'e­mittente. La tassazione è quella ordinaria delle obbligazioni (imposta sostitutiva del 12,5%).

Tier 3. È una tipologia molto recente e ancora relativamente poco sperimentata. Invece di servire agli istituti di credito per accrescere il proprio volume di attività genericamente inteso, va ad aumentare unicamente la capacità operativa nell'area del trading sui mercati finanziari. Di solito, la sua emissione viene raccomandata dalla Banca centrale agli operatori parti­colarmente attivi nel mercato dei capitali. La scadenza è breve (2-4 anni), la remunerazione di solito in linea con il Lower Tier 2 (che però ha sempre una scadenza superiore). Il paga­mento del capitale e delle  cedole può essere sospeso (non cancellato) su disposizione della Banca centrale, in caso di inde­bolimento eccessivo della solidità dell'istituto. In caso di                   li­quidazione dell'emittente, viene preferito ai Tier 1 e Upper Tier 2, trovandosi allo stesso livello dei Lower Tier 2. La tas­sazione è quella ordinaria delle obbligazioni (imposta sostitu­tiva del 12,5%).

 

- I costi legati all'acquisto delle obbligazioni

Quando si acquistano titoli obbligazionari, come per qualsia­si attività finanziaria, si devono sostenere dei costi in termini di commissioni. Queste possono essere di due tipi: le com­missioni di intermediazione, legate alla compravendita, e le commissioni di collocamento, previste in sede di emissione.

Per quanto riguarda le commissioni di intermediazione, lo standard applicato dalle banche è in media pari circa allo 0,50%, anche se facilmente riducibile allo 0,30-0,25% (in alcuni casi per importi estremamente elevati si arriva anche allo 0,05%). Da precisare come tale percentuale vada appli­cata sul controvalore pagato sul prezzo di mercato del titolo al netto del rateo.

In sede di emissione, per i titoli emessi dallo stato italiano, le commissioni di collocamento sono retrocesse (dunque pagate) dal ministero del Tesoro agli intermediari finanziari al mo­mento della sottoscrizione. Conseguentemente, gli interme­diari sono tenuti ad applicare alla clientela il prezzo d'asta, senza aggravio di commissioni. Unica eccezione è rappresen­tata dai buoni ordinari del Tesoro (BOT), per i quali le com­missioni di collocamento si aggiungono al prezzo (medio ponderato d'asta) applicato dagli intermediari ai richiedenti.

Anche per le obbligazioni corporate, in sede di emissione, i risparmiatori non sostengono alcun costo: le commissioni vengono riconosciute direttamente dall'emittente agli inter­mediari che provvedono al collocamento del titolo sul mer­cato. La commissione ricavata dalla sottoscrizione di un ti­tolo è pari alla differenza tra il prezzo pagato all'emittente e il prezzo al quale l'istituzione finanziaria rioffre il titolo al pubblico (reoffer price). Tale differenza è chiamata gross spread.

Le commissioni, e in particolare la selling concession (quella che spetta agli intermediari che collocano i titoli al pubblico), sono tanto più elevate quanto maggiori sono i rischi legati a emissioni obbligazionarie effettuate da società non quotate, poco cono­sciute o che dispongono di un rating non molto elevato. Ciò comporta che per gli intermediari finanziari può risultare molto più remunerativo collocare sul mercato titoli che presentano un grado di rischio più alto rispetto ad altri. Ad esempio, la com­missione media pagata dallo stato argentino per il collocamento delle proprie obbligazioni dal 1996 a oggi è stata pari all'1,5% e in alcune emissioni le commissioni superavano anche il 3%. Per le obbligazioni Parmalat la commissione media pagata è stata dell'1,4%. Per i titoli investment grade superiore, come ad esem­pio Enel, il gross spread medio si attesta intorno allo 0,35%.

Abbiamo visto come, al di là dei BOT, le uniche commissioni che si pagano quando si acquista un titolo obbligazionario sia­no quelle trattenute dall'intermediario per la compravendita. Tuttavia, quando si guarda una distinta bancaria, sembra di pagare una serie infinita di spese e commissioni di cui non riu­sciamo bene a comprendere la motivazione.

COLLOCAMENTO DI STRUMENTI FINANZIARI

La struttura normale di un collocamento di strumenti finanziari presso il pubblico si articola in tre momenti essenziali: l’emissione delle securities da parte del soggetto che ricorre al mercato dei capitali, la relativa sottoscrizione da parte di un consorzio di intermediari (underwriting group – gruppo di sottoscrizione) nella fase del “primo mercato”, quindi il collocamento presso il pubblico degli strumenti finanziari sottoscritti dal consorzio, direttamente o per tramite di altri intermediari che ne curano la distribuzione nel “secondo mercato”. L’importanza del ruolo svolto dal consorzio, nonché degli intermediari, fino al collocamento presso il pubblico  dei  risparmiatori, comporta  per gli stessi una responsabilità pari a quella dell’emittente, poiché gli stessi sono tenuti a controllare la veridicità e la completezza delle informazioni contenute nel prospetto, rilasciando in uno con l’emittente, un’espressa attestazione al riguardo. Risulta chiaro che nella prospettiva di prevenire condotte pregiudizievoli, la posizione del collocatore sul mercato è pari alla responsabilità dell’emittente. Secondo la previsioni giurisprudenziali e dottrinarie la responsabilità dell’intermediario e di colui che opera per la collocazione degli strumenti finanziati sul mercato, è inquadrata secondo la previsione dell’art. 1337 c.c. arricchendosi della previsione di cui all’art. 1759 c.c., affermando la responsabilità precontrattuale dell’intermediario in concorso nell’illecito degli autori dell’informazione ricorrendo anche alla nozione di responsabilità oggettiva (Ferrarini, La responsabilità da prospetto, cit., p.64 ss, la cui impostazione è oggi ripresa da D’Alfonso, responsabilità da prospetto informativo, cit, p. 134 s.; Carnevali, responsabilità da prospetto delle banche cit. p 1004).

In verità solo con la legge sul risparmio - la 262/2005 - si da atto di una responsabilità dell’intermediario professionista nei confronti del risparmiatore non professionista. Responsabilità identica a quella dell’emittente per il solo anno dall’emissione del titolo. Quindi comunque una falsa tutela. Infatti l’Articolo 11 della legge sul risparmio (Circolazione in Italia di strumenti finanziari collocati presso investitori professionali e obblighi informativi) indica che dopo l'articolo 100 è inserito il seguente: "Art. 100-bis. - (Circolazione dei prodotti finanziari) - 1. Nei casi di sollecitazione all'investimento di cui all'articolo 100, comma 1, lettera a), e di successiva circolazione in Italia di prodotti finanziari, anche emessi all'estero, gli investitori professionali che li trasferiscono, fermo restando quanto previsto ai sensi dell'articolo 21, rispondono della solvenza dell'emittente nei confronti degli acquirenti che non siano investitori professionali, per la durata di un anno dall'emissione. Resta fermo quanto stabilito dall'articolo 2412, secondo comma, del codice civile. Il comma 1 non si applica se l'intermediario consegna un documento informativo contenente le informazioni stabilite dalla CONSOB agli acquirenti che non siano investitori professionali, anche qualora la vendita avvenga su richiesta di questi ultimi. Spetta all'intermediario l'onere della prova di aver adempiuto agli obblighi indicati dal presente comma".

Alla fine non è cambiato niente, poiché un anno di garanzia non basta in mancanza di prospetto informativo.

COLLOCAMENTO DI EURO BOND

- Le caratteristiche e le prassi di mercato

L'ordinamento conosce, se non una definizione di Eurobond, una nozione di "euro-valori mobiliari", con la quale si intendono, ai sensi dell'art. 3, lett. f), della direttiva n. 89/298/CEE (c.d. direttiva sul prospetto di offerta pubblica), "i valori mobiliari:

- che debbono essere assunti a fermo e distribuiti da un sindacato di cui almeno due membri abbiano sede in Stati diversi;

- che sono offerti in maniera significativa in uno o più Stati diversi da quello in cui ha sede l'emittente e

- che possono essere sottoscritti o inizialmente acquistati soltanto tramite un ente creditizio o un altro ente finanziario".

Si tratta, peraltro, di nozione più descrittiva di una realtà economica diffusa, che in grado di individuare un'area di operatività di una specifica e distinta disciplina. In via di fatto, gli eurobond (titoli di debito che in qualche modo coinvolgono, dal lato dell'emittente e del sindacato di collocamento, ovvero dal lato dei destinatari dell'offerta, più di uno Stato membro dell'Unione Europea) sono identificati da un codice ISIN che si apre con la sigla XS.

L'emissione e la distribuzione iniziale di eurobond è un processo che si articola in diverse fasi, che sono in larga parte codificate da prassi di mercato ispirate da regole adottate su base volontaria.

Lo schema tipico utilizzato è in estrema sintesi il seguente:

Un soggetto (l'emittente) che intende emettere un prestito obbligazionario fornisce mandato ad uno o più intermediari (i lead manager) a studiare le caratteristiche di una emissione che possa incontrare i favori del mercato (relativamente in particolare a prezzo, cedola, quantitativo) e ad organizzare un sindacato di intermediari (co-lead manager o manager) che potranno sottoscrivere (o assumere a fermo i titoli) e/o distribuire gli stessi a investitori professionali. I lead manager sono qualificati anche book runner, per porre in evidenza, l'attività di chi, incaricato di tenere il libro degli ordini, è il principale formatore e fornitore di prezzi sul titolo.

Si avvia la fase c.d. di origination del prestito da emettere. A volte, accanto all'emittente, esiste un garante dell'emissione. Con specifico riferimento alla realtà nazionale, in taluni casi, l'emissione, per quanto economicamente riconducibile ad una società italiana, è formalmente imputata ad una società veicolo appositamente costituita e stabilita al di fuori dei confini nazionali (spesso in Lussemburgo).

I lead manager danno notizia al mercato di aver ricevuto il mandato dall'emittente. Ciò avviene generalmente attraverso la pubblicazione di un avviso su uno o più quotidiani economici ovvero sulla pagine di uno o più information provìder normalmente consultati dagli operatori (Bloomberg, Reuters, ecc.).

Il lead manager "sonda" (pre-marketing) il mercato al fine di individuare l'importo del prestito e le condizioni (di prezzo, di tasso, ecc.) a cui tale prestito potrà essere emesso con successo. In questa fase, generalmente, i lead manager elaborano un documento in cui forniscono, in particolare, una loro valutazione del merito di credito dell'emíttente (c.d. "credit opinion"), un giudizio, quindi, sulla capacità finanziaria complessiva dell'emittente e sulla idoneità ad adempiere regolarmente gli obblighi finanziari assumendi.

Tale valutazione assume particolare rilievo nel caso di emissioni non assistite da un giudizio di rating espresso da apposite agenzie esterne (tipo Standard & Poor's, Moody's, Fitch, ecc.).

Allo stesso tempo, i lead manager iniziano ad individuare gli intermediari disposti a partecipare direttamente al sindacato, attraverso la sottoscrizione o l'acquisto a fermo di una quota dell'importo del prestito (c.d. "co-lead manager" o "manager").

Ciascun co-lead manager o manager inizia a prendere contatti con la propria rete di clienti istituzionali al fine di verificare la loro eventuale disponibilità ad acquistare successivamente la quota da essi sottoscritta o acquistata a fermo attraverso la partecipazione al consorzio di collocamento.

La fase di origination si conclude con un incontro tra i lead manager e l'emittente, il c.d. "price talk", in cui la banca capofila presenta all'emittente i risultati della fase di studio dell'emissione e vengono fissate, in via meramente indicativa, alcune delle caratteristiche dell'operazione (dimensione, rendimento e struttura dei titoli); quindi il lead manager annuncia (di solito, dopo 10/15 giorni dal ricevimento del mandato) il lancio dell'emissione sui principali circuiti telematici (Bloomberg, Reuters, ecc.). Del lancio viene di norma data notizia, da parte dei lead manager, alle agenzie di stampa specializzate. Nell'annuncio del lancio viene indicato – oltre alla composizione di massima del sindacato di intermediari – quale sarà il rendimento, ancora indicativo, dei titoli offerti, espresso generalmente in termini di differenziale rispetto ad un titolo benchmark oppure rispetto al livello dei tassi swap di durata pari a quella dell'emissione.

Successivamente all'annuncio del lancio (anche a pochi minuti di distanza) si passa quindi al vero e proprio pricing e alla formazione ufficiale del consorzio, attraverso l'invito (invitation telex) da parte del lead manager agli altri membri e l'accettazione da parte di questi ultimi. Viene comunicato ai vari membri del consorzio il quantitativo dei titoli loro assegnato, nei limiti della disponibilità massima da ciascuno dichiarata. Sulla determinazione del prezzo incidono la presenza o l'assenza di un rating, oltre che il tasso nominale d'interesse del titolo in relazione alla scadenza dello stesso.

Determinato il prezzo dell'emissione e tutte le altre caratteristiche del titolo, i lead manager dichiarano che il titolo è "free to trade"; generalmente ciò avviene già nella medesima data di lancio. Da questo momento iniziano solitamente ad essere pubblicate sulle pagine di Bloomberg, Reuters, ecc. offerte in vendita e in acquisto (bid-ask) dei vari intermediari: sia di quelli che partecipano al consorzio sia di altri investitori qualificati (banche, imprese di investimento).          A questo punto, quindi, gli intermediari iniziano a comprare e vendere il titolo.       La fase di mercato che si realizza dalla data di  lancio a quella di primo regolamento (la data di primo regolamento, c.d. closing, è quella in cui avviene la consegna dei titoli da parte dell'emittente contro il pagamento del prezzo di emissione da parte dei partecipanti al relativo consorzio di collocamento) è denominata grey market. Tutte le negoziazioni che si realizzano nella fase di grey market sono regolate, di norma, alla data di primo regolamento. Le negoziazioni che si realizzano in tale fase sono sostanzialmente sottoposte alla condizione che l'operazione (annunciata e lanciata) sia effettivamente posta in essere nei termini indicati. Se la capofila [lead manager], d'accordo con l'emittente, ritenesse opportuno ritirare il prestito entro la chiusura del collocamento, tutte le contrattazioni sarebbero prive di efficacia. La "definione" di grey market ora riportata è quella più diffusa. Peraltro, secondo alcuni autori, in senso proprio, con il termine grey market dovrebbero intendersi quell'insieme di transazioni, fra investitori professionali, che si realizzano fra l'annuncio del lancio e il momento del pricing. Nel periodo successivo al pricing il lead manager spesso svolge un'attività di sostegno e stabilizzazione del corso dei titoli. Spesso l'emissione sull'euromercato è accompagnata dalla quotazione del bond presso la Borsa Valori di Lussemburgo. La particolare agilità delle procedure di quotazione in quel mercato regolamentato consentono l'ammissione fin dalla data di primo regolamento o in pochi giorni successivi. All'uopo, viene utilizzata l'offering circular, documento di per sé funzionale al private placement (ossia per illustrare agli investitori i termini dell'offerta agli stessi indirizzata). Anche in ragione dell'assenza di un obbligo di concentrazione degli scambi nella borsa lussemburghese, si registra, di fatto, che ben poche transazioni transitino su quel mercato, realizzandosi l'assoluta gran parte delle negoziazioni nel segmento over the counter (OTC); solitamente, alla data dell'offering circular (e quindi ormai allo spirare della fase di grey market) si sigla anche, il subscription agreement, accordo di sottoscrizione fra l'emittente ed il gruppo dei manager; la prassi prevede quali "conditions precedent" al closin -(regolamento) di un'emissione, la consegna al lead manager, a beneficio anche dei manager, di "legai opinions" e di "auditors comfort letters" sull'emittente e sull'operazione. Alla luce dello schema sopra riportato, tratti caratteristici, di fatto, delle emissioni di eurobond sono dunque: a) assenza di un prospetto di sollecitazione, in quanto l'offerta dei titoli in discorso, a prescindere dalle modalità con le quali viene effettuata, è comunque destinata solo ad investitori professionali; b) normale presenza di un documento informativo (offering circular), redatto per l'offerta agli investitori professionali e i cui contenuti possono essere utilizzati anche come prospetto di quotazione nella Borsa Valori del Lussemburgo, all'approssimarsi della data di primo regolamento; c) esistenza di contrattazioni nella fase di grey market (dalla data di lancio dell'operazione alla data di primo regolamento), che anticipano il momento della sottoscrizione dei titoli (mercato primario vero e proprio), e, a maggior ragione, la quotazione sul mercato ufficiale. Le negoziazioni che intervengono nella fase di grey market hanno modalità del tutto simili a quelle tipiche di un "mercato secondario".