La responsabilità dell'intermediario finanziario per omessa informazione (ridare.it)

La responsabilità dell

La responsabilità dell'intermediario finanziario per omessa informazione

20 Ottobre 2016 | Silvia Brat, Ginevra Virginia Sturmann

SOMMARIO

Inquadramento normativo | La valutazione di adeguatezza dell'operazione | La valutazione di appropriatezza dell'operazione | La violazione degli obblighi informativi e i titoli inseriti nell'elenco “patti chiari” | La natura della responsabilità dell'intermediario nelle sentenze della Cassazione | In conclusione |

Inquadramento normativo

La responsabilità degli intermediari finanziari è fondata sull'art. 21, D.lgs. n. 58/1998 (cd. TUF), il quale stabilisce che i soggetti abilitati: si comportino con diligenza, correttezza e trasparenza nell'interesse dei clienti e per l'integrità dei mercati; acquisiscano le informazioni necessarie dai clienti ed operino in modo tale che gli stessi siano sempre adeguatamente informati; si organizzino in modo tale da ridurre al minimo il rischio di conflitti di interesse; assicurino comunque ai clienti, in situazione di conflitto, trasparenza ed equo trattamento. Ad ulteriore completamento, la normativa menzionata prevede che gli intermediari dispongano di risorse e procedure, anche di controllo interno ed a livello organizzativo, idonee ad assicurare l'efficiente svolgimento dei servizi.

Nel sancire che l'intermediario deve agire nell'interesse dei clienti, si deve cogliere un quid pluris rispetto al principio di buona fede. Tale principio, ex artt.1337, 1358, 1366, 1370 e 1375 c.c., deve caratterizzare i rapporti contrattuali e precontrattuali tra le parti ed è valido tra contraenti in posizione paritetica. 

In data 29  ottobre 2007, il previgente Reg. CONSOB n. 11522/1998, che disciplinava il settore in esame, è stato sostituito dal Reg. CONSOB n. 16190/2007.Il nuovo sistema prevede obblighi più stringenti, al fine della tutela dei clienti, e calibrati sulla tipologia degli stessi e dei servizi di investimento offerti o delle operazioni realizzate.

Il D.lgs. n. 164/2007 ha implementato l'art. 21 TUF introducendo la lett. c), che pone a carico degli intermediari l'obbligo di «utilizzare comunicazioni pubblicitarie e promozionali corrette, chiare e non fuorvianti». Vengono quindi ribaditi i requisiti generali delle informazioni sanciti ex art. 27 del Regolamento, nel quale è inoltre specificato che le comunicazioni pubblicitarie e promozionali devono essere chiaramente identificabili come tali. La ratio della disposizione risiede nella volontà di rendere consapevole il cliente dell'intento pubblicitario dell'informazione. Quest'ultima, mirando alla vendita del prodotto, non potrà, infatti, definirsi neutrale.

Le informazioni debbono essere fornite in modo comprensibile e consentire al destinatario di «comprendere la natura del servizio di investimento e del tipo specifico di strumenti finanziari interessati e i rischi ad essi connessi», affinché le decisioni possano essere assunte in modo consapevole.

La previsione del requisito della “chiarezza” delle informazioni mira a condurre il cliente verso una scelta consapevole, cosicché, una volta veicolate le necessarie comunicazioni su supporto duraturo o tramite il sito internet dell'intermediario, le eventuali perdite possono considerarsi un epilogo, per così dire, fisiologico e prevedibile.

Per quanto riguarda la veicolazione tramite sito, deve essere svolta dall'intermediario, ex art. 26, comma 2, una preventiva valutazione di adeguatezza oggettiva e soggettiva circa l'utilizzo del predetto sito da parte del cliente, unitamente al consenso espresso di quest'ultimo.

La valutazione di adeguatezza dell'operazione

Alla luce di quanto esposto, occorre, ora, affrontare il tema della responsabilità dell'intermediario con riguardo ai due canoni tipici in materia di investimenti finanziari, ossia l'adeguatezza ed il nuovo concetto di appropriatezza.

Per quanto attiene la valutazione di adeguatezza, essa non deve più essere effettuata in relazione ad ogni singolo investimento, ma – novità rilevante, foriera di ulteriori riflessi, soprattutto in ambito processualistico – viene circoscritta ai servizi di consulenza in materia di investimenti o di gestione di portafogli di investimento. Un tale diverso disegno degli obblighi informativi, per un verso, arretra in modo significativo la soglia di valutazione complessiva del cliente al momento della profilatura dello stesso, assegnando a tale momento un indubbio maggior valore; dall'altro, esclude quella valutazione, certamente più pregnante e che maggiormente sollecitava l'attenzione e la diligenza dell'intermediario, in occasione del singolo investimento.

Ciò pone in risalto una sempre maggiore differenziazione dei servizi prestati, con l'intento di riservare solo al servizio specifico di consulenza e di gestione di portafogli valutazioni più penetranti, ritenute, per contro, non necessarie nella fase meramente esecutiva degli ordini.

In un tale ambito, quindi, assumono valenza particolarmente stringente tutte le informazioni riguardanti la situazione finanziaria del cliente, la consistenza del reddito, la disponibilità di altri investimenti e di immobili, la quantità e qualità di impegni finanziari regolari, l'orizzonte temporale, il bilanciamento - intrinseco ad ogni investimento - tra propensione al rischio ed aspettative di redditività; si tratta quindi di informazioni (tutte) previste dall'art. 39 Reg..

Ed è, quindi, in tale momento di profilatura del cliente che possono essere individuate eventuali lacune ed errori nell'indagine eseguita dall'intermediario, delineandosi, proprio in questa fase, i presupposti della responsabilità professionale.

A tale proposito, è stata anche codificata la comunicazione n. 30396 del 21 aprile 2000 della Consob, con l'introduzione del comma 7 dell'art. 39, che si esprime nei seguenti termini: «gli intermediari non possono incoraggiare un cliente o potenziale cliente a non fornire le informazioni richieste ai sensi del presente articolo».

Strettamente correlata alla fase di profilatura del cliente è, poi, quella successiva di aggiornamento delle informazioni, alla luce del fatto che il dovere di aggiornamento è espressamente previsto dalla Dir. n. 2006/73 (Direttiva II), che, all'art. 37, comma 3, si esprime nei seguenti termini: «l'impresa di investimento ha il diritto di fare affidamento sulle informazioni fornite dai suoi clienti o potenziali clienti, a meno che non sia al corrente, o in condizione di esserlo, che esse sono manifestamente superate, inesatte o incomplete»; negli stessi termini si esprime l'art. 39, comma 3, del Regolamento n. 16190/2007.

Come è agevole intuire, sono gli intermediari a valutare la frequenza degli aggiornamenti delle informazioni ed a predisporre, di conseguenza, le misure organizzative; ferma restando anche la necessità di adeguato aggiornamento e puntuale implementazione laddove l'intermediario venisse a

conoscenza di modifiche significative o laddove, ancora, l'operatività del cliente risultasse non coerente e non allineata rispetto alle informazioni in origine rilasciate.

Ora, proprio sulla base delle informazioni ricevute, un'operazione di investimento può essere ritenuta adeguata ex art. 40 Regolamento Intermediari n. 16190/2007 se soddisfa i seguenti criteri:

corrisponde agli obiettivi di investimento del cliente;
è di natura tale che il cliente è finanziariamente in grado di sopportare qualsiasi rischio connesso all'investimento, compatibilmente con i suoi obiettivi di investimento;
è di natura tale per cui il cliente possiede la necessaria esperienza o conoscenza per comprendere i rischi inerenti all'operazione o alla gestione del suo portafoglio.

Il comma dell'art. 40, inoltre, fornisce una chiara chiave di lettura per comprendere quando un'operazione di investimento risulti inadeguata. La norma in esame stabilisce, infatti, che «una serie di operazioni, ciascuna delle quali è adeguata se considerata isolatamente, può non essere adeguata se avvenga con una frequenza che non è nel migliore interesse del cliente».

Laddove, poi, l'intermediario non ottenga le informazioni necessarie al fine della valutazione di adeguatezza, a differenza di quanto previsto dal Reg. n. 11522/1998, dovrà astenersi dal prestare il servizio di consulenza in materia di investimenti e di gestione di portafoglio. La differenza non è di scarsa rilevanza, dal momento che il Regolamento Intermediari previgente prevedeva pur sempre la facoltà per il cliente, una volta reso edotto della valutazione di inadeguatezza e delle relative motivazioni, di procedere all'operazione. Ciò comportava quindi l'esclusione della responsabilità dell'intermediario e la trasposizione della stessa in capo al cliente.

Tale situazione ha generato un elevato contenzioso con riguardo: alla mancata valutazione di inadeguatezza, all'insufficiente motivazione delle ragioni poste a fondamento della valutazione, alla non corretta veste grafica dell'allerta sull'inadeguatezza (v. Trib. Milano, sent. n.  5899/2016  e Cass. civ. Sent. n. 6376/2015).

Con il nuovo regolamento, invece, l'art. 39, comma 6, ha previsto che gli intermediari, qualora nell'ambito del servizio di consulenza in materia di investimenti o di gestione di portafogli non ottengano le informazioni necessarie alla profilatura del cliente, debbano astenersi dal prestare detti servizi.

La valutazione di appropriatezza dell'operazione

L'appropriatezza nel Regolamento Consob 16190/2007

Diversa dalla valutazione di adeguatezza è, invece, la valutazione di appropriatezza ex art. 42 Reg. n. 16190/2007. A tale riguardo, l'articolo 41 richiama, quanto alle informazioni necessarie per i servizi di investimento diversi dalla consulenza e dalla gestione di portafogli, le informazioni specifiche previste dai commi 2, 5 e 7, dell'art. 39. Dette informazioni rilevano al fine della valutazione dell'appropriatezza e coinvolgono la verifica circa il livello di esperienza e di conoscenza necessario per comprendere i rischi connessi allo strumento od al servizio di investimento. Si tratta di una precisa delimitazione delle informazioni richieste rispetto a quelle, ben più approfondite ed estese, richieste nell'ambito del servizio di consulenza e di gestione di portafogli. Qualora il cliente si astenga dal fornire le informazioni richieste o le fornisca in modo insufficiente, l'intermediario dovrà avvisarlo del fatto che tale omissione impedisce la valutazione di appropriatezza; a seguito di tale avvertimento, che può essere rilasciato anche in formato standardizzato, l'intermediario può, tuttavia, prestare il servizio ex art. 42, comma 4, Reg. n. 16190/2007.

Infine, l'art. 43 del Regolamento Intermediari ha espressamente previsto e disciplinato la mera esecuzione o ricezione di ordini, individuando quali sono i servizi per i quali è prevista la prestazione in modalità execution only. Tale modalità operativa è riservata a servizi prestati ad iniziativa del cliente o potenziale cliente, che deve essere espressamente informato dell'assenza dell'obbligo, per l'intermediario, di procedere alla valutazione dell'appropriatezza. La comunicazione dell'insussistenza di tale specifico obbligo – che può essere fornita anche mediante formato standardizzato - deve altrettanto chiaramente evidenziare la conseguente insussistenza della protezione associata alle disposizioni vigenti per gli altri servizi, fermi restando esclusivamente gli obblighi in materia di conflitto di interesse. Per quanto concerne la delimitazione oggettiva dei servizi, l'art. 43, comma 1, lett. a) pone, quale requisito della execution only, la circostanza che tali servizi abbiano ad oggetto strumenti finanziari non complessi, indicandone le tipologie di diritto e rimandando al successivo art. 44 la specificazione dei requisiti tipici di uno strumento finanziario non complesso.

 

L'appropriatezza nelle sentenze del Tribunale di Milano

Il Tribunale di Milano si è occupato di un vastissimo contenzioso incentrato sulla violazione dei doveri informativi da parte degli intermediari.

La prima applicazione del Regolamento Intermediari n. 16190/2007 può riscontrarsi nella sentenza Trib. Milano n.  2640/2014. La doglianza dell'investitore era incentrata sul grave inadempimento della banca relativo agli obblighi generali di correttezza, diligenza e trasparenza e agli ulteriori obblighi previsti dalla normativa di settore, a causa della mancata trasmissione delle informazioni generali necessarie per compiere consapevoli scelte d'investimento.

Nel caso in cui l'intermediario sia tenuto alla valutazione della sola “appropriatezza”, come nella fattispecie esaminata, egli è chiamato unicamente al riscontro dell'effettivo possesso da parte del cliente del livello di conoscenza e di esperienza necessari per comprendere i rischi che lo strumento finanziario o il servizio d'investimento comportano.  La banca in concreto aveva assunto dal cliente tutte le informazioni necessarie a valutare il di lui grado di consapevolezza rispetto ai rischi derivanti dalle operazioni svolte; tale circostanza risultava con evidenza dal “client advisory form” sottoscritto dall'attore. Da detto documento emergeva infatti che l'investitore, di professione imprenditore, aveva dichiarato: di «vantare conoscenza e/o esperienza in strumenti del mercato monetario, azioni, obbligazioni, divise, e in servizi di tipo “amministrato”»; di avere dai tre ai cinque anni di esperienza nel campo degli investimenti esposti a rischi (come azioni, derivati e investimenti alternativi); di essere titolare di valori mobiliari per un valore totale stimato di 300.000,00 €. Lo stesso aveva dichiarato, inoltre, di avere una finalità d'investimento di “reddito e crescita”, mirante alla crescita del capitale nel medio periodo con investimenti in azioni e obbligazioni, di avere la consapevolezza della possibilità di perdite in conto capitale dovute alla volatilità dei prezzi e di considerare tali perdite accettabili su parte del portafoglio.  Sulla base di tali informazioni, il profilo di rischio del cliente era stato determinato come “medio”.

La violazione degli obblighi informativi e i titoli inseriti nell'elenco “patti chiari”

Gli obblighi informativi, previsti dalla normativa sia primaria, sia regolamentare con modalità particolarmente dettagliate in funzione di protezione della parte contrattualmente più debole, sono suscettibili di ulteriori implementazioni a livello contrattuale proprio in ambito finanziario. In tale ambito è infatti dirimente una conoscenza in capo al consumatore non solo dettagliata, in ordine alla tipologia ed alle caratteristiche del prodotto finanziario, ma anche permanente ed in tempo reale.

Il Tribunale di Milano, nelle sentenzen. 258/2015 e  n. 297/2015, si è occupato di obbligazioni inserite da alcuni istituti di credito nell'elenco denominato Patti Chiari, ossia in un elenco che comprendeva (non essendo ormai più in essere), obbligazioni a basso rischio – basso rendimento. Di solito, nell'ordine di acquisto era specificato: che il titolo faceva parte dell'elenco delle obbligazioni a basso rischio – basso rendimento Patti Chiari emesso alla data dell'ordine e, in base agli andamenti di mercato, il titolo negoziato sarebbe potuto uscire dall'elenco successivamente alla data dell'ordine; che il cliente sarebbe stato tempestivamente informato nell'ipotesi di significativa variazione del livello di rischio. Si è ritenuto che tale specifica annotazione, riportata dalla banca nel modulo d'ordine e recepita dal cliente in sede di sottoscrizione dello stesso, avesse una precisa valenza negoziale nel rapporto tra banca e cliente, di portata integrativa rispetto al contenuto del contratto per la negoziazione, il collocamento, la ricezione e la trasmissione di ordini. Una simile annotazione, anche per l'evidenza grafica, aveva non solo portata informativa circa la caratteristica del prodotto («a basso rischio – basso rendimento»), ma conteneva anche un preciso impegno dell'intermediario ad informare tempestivamente il cliente se il titolo facente parte dell'elenco Patti Chiari avesse subito una variazione significativa del livello di rischio. Tale obbligo non poteva che gravare sulla banca e non su un ipotetico diverso soggetto cui facesse capo l'emissione dell'elenco Patti Chiari, dato che il cliente, sottoscrivendo il modulo d'ordine predisposto dalla Banca, instaurava un rapporto negoziale con la sola banca e da questa sola poteva pretendere il rispetto dei diritti allo stesso assicurati.

La predetta annotazione implicava per la banca l'ulteriore impegno di monitorare il prodotto (avvalendosi delle informazioni rese dal Consorzio Patti Chiari) e di rendere note al cliente, con tempestività, eventuali significative variazioni relative al livello di rischio del titolo. Quanto al contenuto dell'informazione, nelle ipotesi in cui non fosse stato specificato quando la variazione del livello di rischio avesse dovuto ritenersi “significativa, si faceva riferimento alle precipue espressioni del testo negoziale sottoscritto dal cliente, ossia alla caratterizzazione del prodotto quale “obbligazione a basso rischio – basso rendimento”, inserito nell'elenco Patti Chiari, e conseguentemente ai parametri che dovevano ritenersi sussistenti affinché tale caratterizzazione permanesse. Elementi univoci hanno talvolta consentito di delineare almeno due ordini di parametri caratterizzanti le obbligazioni in elenco: da un lato, i titoli dovevano avere un rating elevato non inferiore ad “A-“, dall'altro, una bassa variabilità del prezzo di mercato,  nel senso che  l'elenco prevedeva l'inclusione solo dei titoli che presentavano il rischio di una riduzione di valore inferiore al 5% su base annuale, rischio misurato secondo la metodologia  Value at Risk (cd.  VAR).

Tale orientamento trova riscontro in Trib. Milano, sent., 22 marzo 2011, n. 3822,ed è integralmente confermato dalla Corte d'Appello di Milano, sent., 5 marzo 2014, n. 1240, la quale ha ribadito come l'obbligo di monitorare l'andamento del titolo spettasse solo alla banca in forza dello specifico rapporto contrattuale instaurato con l'investitore. Inoltre, il giudice di secondo grado ha ritenuto che l'obbligo della banca di comunicare la significativa variazione del rischio dell'investimento fosse sorto già nel momento in cui il titolo obbligazionario non presentava più i parametri tipici degli strumenti finanziari contenuti nell'elenco Patti Chiari.

In altre decisioni, Trib. Milano sent.  n. 258/2015 e Trib. Milano n.  2015/2015, il Tribunale di Milano ha ritenuto che, con l'espressione «variazione significativa», dovesse intendersi un mutamento di elevate dimensioni e proporzioni, tale da allontanarsi notevolmente dall'andamento standard del prodotto. In tale contesto, il Tribunale di Milano ha espressamente richiamato la Cass. civ. sent. n.7776/2014 in merito al «dovere dell'intermediario del clare loqui, ovvero di parlare chiaro, quale ricavabile dalla normativa comunitaria e nazionale a tutela dell'investitore, principio che analogamente non può che condurre a valorizzare il significato più evidente delle espressioni usate».

In tutte le sopra citata decisioni  il Tribunale di Milano, al fine di enucleare la consapevolezza, da parte dell'istituto di credito, ha fatto riferimento:

alle indiscrezioni circolate nell'ultima settimana prima del default sul  titolo Lehman Brothers;
alle indiscrezioni relative alla  vendita di una parte dell'asset management e all'aumento di  capitale;
alla mancata vendita del 50% della banca americana a fondi sovrani asiatici a causa del prezzo troppo elevato ed alla conseguente ripresa delle trattative;
alla verifica della FED  presso la Credit Suisse per accertare se l'istituto svizzero avesse bloccato le linee di credito a Lehman Brothers;

all'imminente uscita di scena dell'amministratore delegato. 

La natura della responsabilità dell'intermediario nelle sentenze della Cassazione

Relativamente alla natura della responsabilità dell'intermediario, le Sezioni Unite nel 2007 sono intervenute a dirimere il contrasto giurisprudenziale sorto attorno alle conseguenze derivanti dalla violazione dei doveri d'informazione.

La violazione di tali obblighi, affermano le Sezioni Unite (Cass. civ., Sent. n. 26724/2007), può dar luogo a responsabilità precontrattuale con conseguente obbligo al risarcimento dei danni, ove la violazione avvenga nella fase precedente o coincidente con la stipulazione del contratto d'intermediazione destinato a regolare i successivi rapporti tra le parti (cd. "contratto quadro", il quale, per taluni aspetti, può essere accostato alla figura del mandato).

Si può, invece, configurare una responsabilità di tipo contrattuale, con la possibilità di azionare eventualmente il rimedio della risoluzione del predetto contratto, ove si tratti di violazioni riguardanti le operazioni d'investimento o disinvestimento compiute in esecuzione del contratto d'intermediazione finanziaria.

Tale indirizzo è stato, infine, modificato dalla giurisprudenza di legittimità più recente (Cass. civ.  Sent.n. 12262/2015), la quale ha definitivamente sancito la natura contrattuale della responsabilità dell'intermediario, investendo il non corretto adempimento di obblighi legali facenti parte integrante del contratto, sicché il danno invocato dal cliente medesimo non può essere limitato al mero interesse negativo da responsabilità precontrattuale.

Ne consegue che l'eventuale violazione di detti obblighi, ove ricorrano gli estremi di gravità postulati dall'art. 1455 c.c., può condurre anche alla risoluzione del contratto di intermediazione finanziaria.  L'esecuzione del singolo ordine si configura quale fase esecutiva del contratto quadro e le violazioni informative attengono alle relative regole di condotta dell'intermediario in tale fase del rapporto.

Infine, in nessuno caso, in difetto di previsione normativa in tal senso, la violazione dei suddetti doveri comportamentali può determinare la nullità del contratto d'intermediazione, o dei singoli atti negoziali conseguenti, a norma dell'art. 1418 c.c.. Ribadisce, infatti, la Cassazione che, in relazione alla nullità del contratto per contrarietà a norme imperative, in difetto di espressa previsione in tal senso (cosiddetta "nullità virtuale"), deve trovare conferma la tradizionale impostazione secondo la quale, ove non altrimenti stabilito dalla legge, unicamente la violazione di norme inderogabili concernenti la validità del contratto è suscettibile di determinarne la nullità e non già la violazione di norme, anch'esse imperative, riguardanti il comportamento dei contraenti la quale può essere fonte di responsabilità (Cass. civ.,sent., n. 26724/2007).

In conclusione

Alla luce di quanto esposto, è possibile ravvisare una tendenza normativa e giurisprudenziale volta a garantire un maggiore equilibrio contrattuale tra i protagonisti dell'operazione finanziaria, ossia l'intermediario ed il cliente. A tal fine risulta pertanto necessaria la riduzione delle asimmetrie informative che costituiscono la causa principale della carenza di potere contrattuale in capo al cliente.

L'attuale disciplina di settore prevede infatti una serie di obblighi informativi gravanti sull'intermediario, che mirano a rendere il cliente consapevole delle proprie scelte in merito all'operazione da realizzare.

La normativa vigente sottolinea, inoltre, la rilevanza della fase di “profilatura del cliente”, quale momento per individuare i presupposti della responsabilità dell'intermediario. Quest'ultimo dovrà infatti valutare l'adeguatezza dell'operazione proprio in relazione all'esperienza del cliente in materia di investimenti, alla sua situazione finanziaria, alla propensione al rischio ed a tutti gli altri elementi necessari ad identificare la controparte. Qualora l'intermediario ritenga l'operazione inadeguata rispetto alle caratteristiche del cliente, dovrà astenersi dalla prestazione, anche nel caso in cui il cliente insista per la sua esecuzione; in caso contrario incorrerà automaticamente nella responsabilità.

E' interessante rilevare che una valutazione così approfondita e l'obbligo di astensione dell'intermediario sono previsti unicamente per i servizi di consulenza in materia di investimenti e gestione portafogli d'investimento.

Per quanto riguarda, invece, tutte le altre tipologie di operazioni, l'intermediario dovrà valutare il servizio richiesto sulla base del criterio meno stringente dell'appropriatezza; qualora, poi, il cliente, informato della valutazione negativa, richieda ugualmente la prestazione, l'intermediario non dovrà astenersi.

E' necessario, infine, porre l'attenzione sul regime dell'onere della prova nel giudizio di risarcimento del danno proposto da un risparmiatore. Infatti, come affermato dalla Suprema Corte, incombe sull'intermediario fornire la prova positiva della sua diligenza e dell'adempimento delle obbligazioni poste a suo carico, in mancanza sarà tenuto al risarcimento degli eventuali danni (Cass. civ.,sent. n. 5089/2016).

Ed invece grava sull'investitore l'onere di allegare l'inadempimento delle citate obbligazioni da parte dell'intermediario, nonché di fornire la prova del danno e del nesso di causalità fra questo e l'inadempimento, anche sulla base di presunzioni (Cass. civ., sent., n. 809/2016).

In definitiva, quindi, si può scorgere la volontà di rafforzare la tutela del risparmiatore che si trova a rapportarsi con un soggetto contrattualmente “più forte”.

Riassumendo, il sistema di prescrizioni sopra delineato a carico dell'intermediario risulta necessario al fine di rendere effettivo il suo obbligo di «comportarsi con diligenza, correttezza, trasparenza nell'interesse dei clienti e per l'integrità dei mercati», sancito dall'art. 21 comma 1, lett. a, TUF. Tale obbligo, peraltro, viene ribadito anche dalla disciplina comunitaria, la quale prevede espressamente in capo agli intermediari il dovere di agire «in modo onesto, equo e professionale per servire al meglio gli interessi dei loro clienti» (art. 19.1, Dir. 2004/39 CE c.d. MIFID).

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