In materia di Disconoscimento di paternità, il termine di decadenza è sottratto alla disponibilità delle parti (Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 13 gennaio 2017, n. 785).

In materia di Disconoscimento di paternità, il termine di decadenza è sottratto alla disponibilità delle parti (Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 13 gennaio 2017, n. 785).

In tema di disconoscimento di paternità, il termine di decadenza è sottratto alla disponibilità delle parti, dovendone, il giudice, accertare, ex officio, il rispetto e, correlativamente, l’attore fornire la prova che l’azione sia stata proposta entro il termine previsto.

Art. 244 c.c. - L'azione di disconoscimento della paternità da parte della madre deve essere proposta nel termine di sei mesi dalla nascita del figlio ovvero dal giorno in cui è venuta a conoscenza dell'impotenza di generare del marito al tempo del concepimento.
Il marito può disconoscere il figlio nel termine di un anno che decorre dal giorno della nascita quando egli si trovava al tempo di questa nel luogo in cui è nato il figlio; se prova di aver ignorato la propria impotenza di generare ovvero l'adulterio della moglie al tempo del concepimento, il termine decorre dal giorno in cui ne ha avuto conoscenza.
Se il marito non si trovava nel luogo in cui è nato il figlio il giorno della nascita il termine, di cui al secondo comma, decorre dal giorno del suo ritorno o dal giorno del ritorno nella residenza familiare se egli ne era lontano. In ogni caso, se egli prova di non aver avuto notizia della nascita in detti giorni, il termine decorre dal giorno in cui ne ha avuto notizia.
Nei casi previsti dal primo e dal secondo comma l'azione non può essere, comunque, proposta oltre cinque anni dal giorno della nascita.
L'azione di disconoscimento della paternità può essere proposta dal figlio che ha raggiunto la maggiore età. L'azione è imprescrittibile riguardo al figlio.
L'azione può essere altresì promossa da un curatore speciale nominato dal giudice, assunte sommarie informazioni, su istanza del figlio minore che ha compiuto i quattordici anni, o del pubblico ministero o dell'altro genitore, quando si tratta di minore di età inferiore.

Svolgimento del processo

1. La Corte d’appello di Firenze ha respinto il gravame proposto dalla signora N.D. contro la sentenza del Tribunale di Pistoia che, in accoglimento della domanda dei signori D.P.E. e M.L. , genitori del defunto D.M. , coniuge della N. , aveva disconosciuto la paternità del loro figlio riguardo al minore C.M. , costituito in giudizio a mezzo del curatore speciale.
2. Secondo la Corte territoriale, l’impugnazione non poteva essere accolta in quanto i genitori del premorto D.M. non erano decaduti dal termine per proporre la domanda giudiziale perché, dovendosi computare i termini per la proposizione dell’azione dalla data di conoscenza dell’adulterio da parte del defunto marito, alla luce degli artt. 244 e 246 c.c. e della sentenza della Corte costituzionale n. 134 del 1985, nella specie, alla stregua del compendio probatorio ammissibile, l’originario legittimato aveva ignorato la relazione adulterina.
2.1. Infatti, le allegazioni della appellante (secondo cui Ella, nel 2003, aveva confidato al marito una sua relazione adulterina con un fantino) erano restate prive di prova atteso che il mezzo testimoniale richiesto (la deposizione della sorella Ni.Di. ) era inammissibile, come correttamente disposto dal primo giudice, in quanto capitoli erano "del tutto generici" e privi delle precise e necessarie indicazioni "del tempo, del luogo e del contesto in cui la rivelazione sarebbe avvenuta, comportando una compromissione del diritto alla controprova".
3. Inoltre, era priva di pregio la censura alla presunta errata valutazione degli elementi istruttori raccolti ai fini della prova dell’insussistenza della paternità del defunto figlio nei riguardi del piccolo C.M. .
3.1. Sebbene andasse ridimensionata l’ammissione della N. (riducibile a quella di aver intrattenuto una relazione con altra persona nel periodo di concepimento del figlio) la medesima assumeva un più pregnante significato se valutato unitamente agli altri elementi raccolti ed al contegno tenuto dalle parti: particolarmente, il rifiuto immotivato espresso dal minore, attraverso il suo curatore speciale, di sottoporsi a prelievo ematologico per l’esecuzione della prova scientifica.
4. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione la signora N. , con cinque mezzi di impugnazione.
5. I genitori del defunto coniuge resistono con controricorso e memoria illustrativa.

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo di ricorso (violazione e falsa applicazione degli artt. 233, 244, 246 c..c.) la ricorrente, in relazione alla eccepita decadenza dall’azione di disconoscimento dei genitori del defunto coniuge, lamenta che la Corte d’appello abbia disatteso le proprie istanze istruttorie di cui reitera il contenuto testuale.
2. on il secondo (violazione e falsa applicazione dell’art. 244 c.p.c.) la ricorrente denuncia l’errore commesso dal giudice distrettuale il quale avrebbe escluso l’ammissibilità di prove testimoniali decisive e rilevanti considerando come generici capitoli che tali non erano, anche in considerazione della precisazione del tempo dei fatti da far accertare, espressamente enunciato in alcuni di essi ma riferibili anche agli altri.
3. on il terzo mezzo (violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c.) la ricorrente denuncia, a proposito del rifiuto della prova ematologica, la mancata considerazione della prevalenza degli interessi del minore.
4. on il quarto (violazione e falsa applicazione dell’art. 240 c.p.c.) si denuncia la mancata ammissione delle prove intese a dimostrare la conoscenza, da parte del defunto, della relazione intrattenuta con altra persona, in precedenza, e, perciò, della sua rinuncia a proporre l’azione di disconoscimento della paternità.
5.Con il quinto (violazione e falsa applicazione dell’art. 240 c.p.c. e 246 c.c.) si denuncia la mancata considerazione del previo consenso del marito unitamente alla considerazione del prevalente interesse del minore.
6. I primi due mezzi di cassazione vanno esaminati congiuntamente in quanto contengono la medesima censura, proposta con riferimento alla affermata decadenza dall’azione di disconoscimento della paternità del minore, e si sostanziano nell’affermazione del denegato diritto alla prova, con particolare riferimento a quella testimoniale.
6.1. La doglianza, diretta alla richiesta di un riesame delle ragioni (che si assumono infondate) del diniego di ammissione del mezzo istruttorio, deve essere accolta con riferimento al principio di diritto già affermato da questa Corte (Sez. 1, Sentenza n. 1512 del 2000) a riguardo di tale tipologia di giudizi e al quale deve essere data piena continuità nel caso esaminato.
6.2. Infatti, deve ancora una volta ribadirsi che:
in tema di azione di disconoscimento di paternità, il termine previsto dall’art. 244 cod. civ., di natura decadenziale, afferisce a materia sottratta alla disponibilità delle parti, così che il giudice, a norma dell’art. 2969 cod. civ., deve accertarne "ex officio" il rispetto, dovendo correlativamente l’attore fornire la prova che l’azione sia stata proposta entro il termine previsto, senza neppure che possa spiegare rilievo, in proposito, la circostanza che nessuna delle parti abbia eccepito l’eventuale decorso del termine stesso.
6.3. La reiezione della prova testimoniale da parte dei giudici della fase di merito appare ingiustificata: non solo e non tanto perché in essa erano (contrariamente a quanto affermato nella motivazione negatrice della richiesta adoperata dalla Corte territoriale) specificate le circostanze di tempo (tutte riferibili all’estate del
2003) dei fatti oggetto di prova, riguardanti circostanze nient’affatto generiche (cfr. i capp 3/5: il "defunto.. dichiarò di non voler effettuare il test del DNA in quanto in ogni caso voleva tenere quel figlio come proprio figlio"), ma soprattutto perché, in ossequio alla regola dell’accertamento ufficioso della decadenza, di cui si è richiamato il valore e la portata, era specifico compito del giudice della causa compiere l’indagine e valutare con attenzione ogni risultanza addotta o adducibile al suo vaglio.
7. Il ricorso è, pertanto, fondato e, in relazione a tale doglianza, deve essere accolto, con il conseguente assorbimento dei restanti motivi, riguardanti questioni che presuppongono l’accertamento (ufficioso), o meno, della eccepita decadenza.
7.1. Tuttavia, con riferimento alla questione posta dal quarto e dal quinto mezzo, riguardante la asserita rinuncia del defunto a far valere tale azione, questa Corte non può non ricordare il principio di diritto (posto da questa Corte: Sez. 1, Sentenza n. 8087 del 1998), secondo cui "l’azione di disconoscimento della paternità verte in materia di diritti indisponibili, in relazione ai quali non è ammesso alcun tipo di negoziazione o di rinunzia".
8. La sentenza, in accoglimento del ricorso in parte qua (primo e secondo mezzo), va pertanto cassata, nei sensi sopra esposti e la causa rinviata, anche per le spese di questa fase, alla Corte d’Appello di Firenze che deciderà, facendo applicazione dei richiamati principi, in una diversa composizione del collegio.

P.Q.M.

Accoglie il primo e secondo motivo del ricorso, assorbiti i restanti, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese di questa fase, davanti alla Corte d’appello di Firenze, in diversa composizione.
Dispone che, ai sensi dell’art.52 D. Lgs. n.198 del 2003, siano omessi le generalità e gli altri dati identificativi, in caso di diffusione del presente provvedimento.