Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza n. 24 del 3 Gennaio 2017 - Inadempimento dell'intermediario in tema di gestione patrimoniale inerente la violazione del parametro/benchmark.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza n. 24 del 3 Gennaio 2017 - Inadempimento dell

Il benchmark rappresenta il termine di paragone per valutare l’operato del gestore, sicché fornisce all’investitore l’elemento essenziale per la valutazione del servizio offerto. È vano, pertanto, insistere sulla non vincolatività del parametro in sé e per sé considerata. Il benchmark, se anche non impone al gestore di acquistare titoli nelle proporzioni indicate, in ogni caso costituisce un modo per valutare la razionalità e la adeguatezza dell’attività dell’intermediario, giacché a ogni benchmark è associato un rischio, misurato statisticamente dalla volatilità che caratterizza il parametro prescelto a riferimento. Non v’è, quindi, alcun errore, né contraddittorietà, nella decisione della corte distrettuale, la quale, in definitiva, ha desunto l’inadempimento del gestore dal non aver rispettato le caratteristiche delle linee di investimento per le quali era stato assunto il rischio contrattuale. Per modo che correttamente le perdite sono state imputate all’inadempimento.

 

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 7 luglio 2016 – 3 gennaio 2017, n. 24
Presidente Bernabai – Relatore Terrusi

Svolgimento del processo

La corte d’appello di Torino ha rigettato il gravame di Sella holding banca s.p.a. (già Banca Sella s.p.a.) avverso la sentenza del tribunale di Biella che ne aveva pronunciato la condanna al risarcimento dei danni subiti da B.M. ed P.E. , in conseguenza dell’inadempimento di un contratto di gestione patrimoniale di "tipo C-Azionario globale", con definizione del rischio d’investimento da un parametro di riferimento (nel linguaggio finanziario, benchmark) per il 30 % a indice titoli di stato JP Morgan Globale in euro e per il 70 % a indice mondiale MSCI in Euro.
La corte d’appello ha ritenuto integrato l’inadempimento per avere la banca attuato una gestione incoerente con i rischi contrattualmente assunti e sinteticamente rappresentati dal benchmark, con netta preferenza, almeno in certo periodo, della componente azionaria in misura percentuale ampiamente eccedente quella prevista, e con caratteristiche di volatilità riconducibili alla classe di rischio 5 di Assogestioni anziché alla congruente classe 4.
Per la cassazione della sentenza la banca ha proposto ricorso affidato a due motivi, ai quali gli intimati hanno replicato con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato una memoria.

Motivi della decisione

I. - Col primo motivo, deducendo falsa applicazione e violazione degli artt. 1218 cod. civ., 23 del T.u.f. e 38 e 42 del regolamento Consob n. 11522-98 (reg. intermediari), la ricorrente ascrive alla sentenza di avere impropriamente utilizzato come parametro di valutazione della condotta di essa banca quello stesso parametro (benchmark) pur giustamente definito come indicatore statico e solo approssimativo, non presupponente l’obbligo del gestore di acquistare titoli nelle proporzioni indicate.
Secondo la ricorrente la corte d’appello avrebbe con ciò finito per attribuire al benchmark un valore negoziale assente, di vero e proprio impegno verso un’obbligazione di risultato, oltre che un valore di clausola gerarchicamente sovraordinata rispetto a tutte le altre indicative delle caratteristiche di gestione ai sensi dell’art. 38 del reg. intermediari.
Col secondo motivo è invece dedotta l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza in ordine alle modalità e ai criteri di accertamento del rischio di gestione e dei relativi parametri, non essendo state considerate le critiche svolte in appello dalla banca.
II. - Il ricorso, i cui motivi possono essere unitariamente esaminati perché connessi, è infondato.
La corte d’appello ha reso la decisione previo richiamo delle risultanze di una c.t.u..
Ha accertato che la banca aveva agito, in periodo continuativo di sei mesi circa, in difformità dal parametro indicato nel contratto di gestione, errando nella politica di investimento e di selezione dei titoli e procurando agli attori le perdite stimate.
Tanto costituisce un profilo di fatto non adeguatamente censurato nel secondo motivo di ricorso, il quale, insistendo su questioni afferenti non considerati alti profili di rischio degli investitori, non evidenzia in verità alcun elemento decisivo idoneo a elidere la congruenza e la linearità della motivazione della corte distrettuale. La quale ha evidenziato che la banca aveva in ogni caso agito in contrasto col parametro indicato in contratto, e quindi col livello di rischio contrattualmente assunto dagli attori.
Va del resto rammentato che nei contratti aventi a oggetto la gestione di portafogli di valori mobiliari gli obblighi comportamentali normativamente posti a carico dell’intermediario (cfr. gli artt. 36 e seg. del reg. intermediari) prevedono, tra l’altro, la preventiva indicazione del grado di rischio di ciascuna linea di gestione patrimoniale proprio col fine di indicare all’investitore un parametro oggettivo coerente dei rischi connessi (v. di recente Sez. 1^ n. 8089-16).
III. - Non può seguirsi la tesi dalla ricorrente sostenuta nel primo motivo.
Dalla sentenza si evince che tra le parti era stato stipulato un contratto di gestione patrimoniale con definizione dell’investimento e del suo rischio in base al parametro surriportato.
Col contratto di gestione di un portafoglio di investimento il cliente conferisce all’intermediario l’incarico di adottare strategie di investimento entro i margini di discrezionalità fissati nel contratto stesso, giacché i relativi risultati, positivi o negativi, ricadono direttamente sul patrimonio dell’investitore.
Per quanto il contenuto del contratto sia certamente caratterizzato da una certa discrezionalità dell’intermediario nella valutazione delle operazioni da compiere, vi è che tale discrezionalità va coniugata con le linee di gestione scelte e comunque indicate nel contratto.
In questo senso la gestione individuale si distingue dalla gestione collettiva (titolo III del T.u.f.) per il carattere appunto personalizzato, che consente all’investitore di predeterminare, nel contratto, le linee di gestione e di impartire istruzioni vincolanti ai sensi dell’art. 24 del T.u.f..
IV. - In ordine al contratto di gestione individuale l’art. 37 del reg. intermediari (testo vigente pro tempore) prescrive l’obbligatoria indicazione delle "caratteristiche della gestione", e tale sintetica espressione si palesa allusiva, ai sensi dei successivi artt. 38 e 39, proprio e tra l’altro delle categorie di strumenti finanziari nelle quali può essere investito il patrimonio gestito.
Il regolamento prescrive poi l’obbligatoria indicazione della tipologia di operazioni suscettibili di essere effettuate (art. 40) e della misura massima della leva finanziaria utilizzabile (art. 41).
Ne consegue che, per delineare le caratteristiche della gestione, assume un ruolo fondamentale proprio il benchmark, definito dall’art. 42 come "parametro oggettivo di riferimento coerente con i rischi a essa connessi al quale commisurare i risultati della gestione".
In altre parole il benchmark rappresenta il termine di paragone per poi valutare l’operato del gestore, sicché fornisce all’investitore l’elemento essenziale per la valutazione del servizio offerto.
È vano allora insistere sulla non vincolatività del parametro in sé e per sé considerata.
Il benchmark, se anche non impone al gestore di acquistare titoli nelle proporzioni indicate, in ogni caso costituisce un modo per valutare la razionalità e la adeguatezza dell’attività dell’intermediario, giacché a ogni benchmark associato un rischio, misurato statisticamente dalla volatilità che caratterizza il parametro prescelto a riferimento.
Non v’è quindi alcun errore, né contraddittorietà, nella decisione della corte distrettuale. La quale in definitiva ha desunto l’inadempimento del gestore dal non aver rispettato le caratteristiche delle linee di investimento per le quali era stato assunto il rischio contrattuale. Per modo che correttamente le perdite sono state imputate all’inadempimento.
V. - Il ricorso è rigettato.
Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese processuali, che liquida in euro 7.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori e rimborso forfetario di spese generali nella percentuale di legge.